When The Leeves Broke: A Requiem In Four Acts
Spike Lee - USA 2006 - 4h


Venezia 63° - PREMIO Orizzonti

         Assolutamente meritato il premio per la sezione Orizzonti conferito al bellissimo e toccante documentario di film precedente in archivioSpike Lee sulla tragedia che l’uragano Katrina ha abbattuto sulla città di New Orleans.
Doveva essere uno speciale di due ore per la rete televisiva HBO e si è trasformato in un film di 240 minuti: un requiem in quattro atti, come recita il titolo. Pur nascendo infatti come documentario, la sapiente regia con cui Lee ha montato le immagini della città prima e dopo il disastro e le interviste ai suoi abitanti ha creato qualcosa che va al di là di una semplice testimonianza documentaria. Esiste un vero sviluppo narrativo in quanto i quattro atti corrispondono al progressivo delinearsi di fasi diverse della tragedia, dalle quali emerge chiaramente come alla furia degli elementi naturali si siano sovrapposte le responsabilità civili.
Il film si apre sulle note di
Do you Know what it means to miss New Orleans di Louis Armstrong che accompagnano immagini di repertorio sulla città e su quello che essa rappresenta nell’immaginario di tutti noi: the Big Easy, la città del jazz, del Mardì Gras, del quartiere francese, della cultura creola e cajun, alternate con le prime immagini girate dopo l’uragano: bambini soccorsi dagli elicotteri, cadaveri galleggianti, case distrutte.
Successivamente cominciano a prendere la parola i protagonisti sopravvissuti alla tragedia, che viene così a delinearsi come un dramma reale e non come fiction televisiva. Sono più di cento le interviste che Lee ha filmato dal dicembre 2005, tornando più volte in Louisiana. Dallo schermo ci parlano i politici: il sindaco nero Ray Nagin, che ammette di non aver avuto il coraggio di far evacuare la città, nonostante fosse stato preavvertito della forza dell’uragano, il governatore Kathleen Blanco, ingegneri, architetti, tecnici, responsabili della protezione civile, che dimostrano il totale fallimento di un sistema impreparato ad affrontare tali emergenze, personaggi famosi come gli attori Harry Belafonte e Sean Penn che vediamo impegnato nei soccorsi e i musicisti Terence Blanchard e Wynton Marsalis, ma soprattutto la gente comune, nera prevalentemente, ma anche bianca.
Tutti hanno delle storie drammatiche da raccontare: la donna che, abitando vicino al lago Pontchartrain ha sentito il rumore tremendo della chiatta che, trascinata contro la diga , ha aperto la prima falla, il giovane che ha assistito la vecchia madre in carrozzella e quando è morta ha dovuto abbandonarne il cadavere, il bambino disperato perché non riusciva a trovare le medicine per la madre, coloro che si erano rifugiati al Superdom, seguendo le indicazioni ufficiali, e che si sono visti crollare il tetto addosso: un grande affresco corale che testimonia la condizione del tutto indifesa della popolazione. Man mano che il film procede emergono però dai racconti  particolari che forse i media non avevano messo in luce: una donna narra che quando, visto che i soccorsi non arrivavano, hanno tentato di abbandonare la città, sono stati respinti dall’esercito e ricacciati indietro in una città dove non esistevano più né viveri né acqua potabile né medicine; un’altra racconta che, quando finalmente è stata decisa l’evacuazione, sono stati tutti ammassati all’aeroporto di New Orleans e fatti partire a casaccio con la conseguenza di disperdere intere famiglie spedite singolarmente in diverse città degli Stati Uniti. E chi ha voluto restare non ha avuto nessun aiuto. Il tutto tra uno spalleggiarsi di responsabilità da parte delle autorità competenti, a proposito delle quali resterà memorabile l’intervista al capo della protezione civile.
“Quello che è successo a New Orleans è un atto criminale” ha dichiarato Spike Lee e con il suo film ce l’ha saputo dimostrare. All’anteprima americana, il sedici agosto scorso, allo stadio Coliseum, che un anno fa offriva riparo a migliaia di rifugiati, c’erano sedicimila persone, in lacrime. Ma chiunque si sia lasciato trasportare in questo viaggio nell’orrore non dimenticherà mai la faccia di quel tal bambino o di quel tal vecchio, ma soprattutto non dimenticherà le bellissime carrellate a pelo d’acqua sui cadaveri gonfi degli annegati lasciati per settimane a galleggiare nella melma.

Cristina Menegolli - MC magazine 18  ottobre 2006