da La Repubblica (Paolo D'agostini) |
Il cinema italiano, a poca distanza da un altro caso rilevante e per parecchi versi contiguo come era Mi piace lavorare di Francesca Comencini con Nicoletta Braschi, torna nel mondo del lavoro. Non quello operaio caro alla scuola britannica, ma quello dei colletti bianchi. Ispiratore di Volevo solo dormirle addosso di Eugenio Cappuccio è Massimo Lolli che a un certo punto della vita ha deciso di travasare la sua esperienza manageriale nel campo delle risorse umane (ultimo incarico direzione del personale alla Marzotto) nella nuova vocazione di narratore. Il titolo del film è lo stesso di un suo libro dove si racconta di un giovane dirigente ambizioso che accetta l'incarico di sfoltire il personale dell'azienda di un certo numero di unità entro una precisa scadenza. Il protagonista Giorgio Pasotti dà al personaggio uno spessore nervoso e a tratti sfumato di malinconia che, sulla base delle sue precedenti esperienze, non era scontato aspettarsi. C'è una sorta di riscatto morale che, pur soddisfacendo la convenzione di un cinema che non vorrebbe accontentarsi di una collocazione di nicchia, non rinuncia ai doppi fondi di amarezza e inquietudine. Resta la curiosità di sapere, parliamo di Lolli, come possa riuscire una persona per forza di cose profondamente integrata, coinvolta e corresponsabile di ideologie e strategie aziendali a uscire da sé per conciliare la prima parte di sé con un altro sé che racconta le stesse dinamiche con sguardo distaccato, critico, ironico. |
da La Stampa (Alessandra Levantesi) |
Basata sull'omonimo romanzo del manager-scrittore Massimo Lolli (Limina Edizioni, 1998), che lo ha sceneggiato con Alessandro Spinaci, «Volevo solo dormirle addosso» è una commedia di costume ambientata nel mondo aziendale di oggi, dominato dalla logica spietata del marketing. Ma per una volta raccontato nell'ottica, e questo è il tratto originale del film, non di una classica vittima delle vessazioni del sistema (come in Mi piace lavorare di Francesca Comencini), bensì di un rappresentante del padronato: ovvero un tagliatore di teste o «segatore» che dir si voglia. Costui è Marco Pressi, trentenne manager della filiale italiana di una multinazionale cui viene affidato il compito (che non può rifiutare se vuole far carriera) di abbattere il personale del 30 per cento nel giro di soli tre mesi, badando bene a non creare un clima di panico fra gli impiegati e senza inimicarsi i sindacati. Alla missione impossibile, il giovanotto rampante si accinge con un paradossale miscuglio di cinismo e spirito autodistruttivo: infatti alcuni indizi, per esempio il suo appartamentino modesto e trascurato, rivelano in lui un lato oscuro e schizoide di perdente. E' una contraddizione che rende Marco più simpatico, ma basta a farne un tipico eroe del nostro tempo? Un personaggio magari negativo in cui tuttavia lo spettatore trova rispecchiata la società in cui vive e magari qualcosa di se stesso? Pur rifacendosi al glorioso modello della commedia all'italiana, Capuccio (che aveva esordito con il promettente Il caricatore, firmato a sei mani con Gaudioso e Nunziata) non dimostra di possedere quella capacità di affondo graffiante nella realtà, quell'abilità a coniugare umorismo e dramma che negli anni '60 rese grande e popolare il genere. Tuttavia nel film non manca un certo ritmo, alcune scene sono indovinate; e in un cast ben distribuito si conferma la stella in ascesa di Giorgio Pasotti (già apprezzato interprete di Ecco fatto e L'ultimo bacio di Gabriele Muccino, nonché di Dopo mezzanotte di Davide Ferrario), che a Pressi ha saputo conferire una dinamica, accattivante personalità. |
TORRESINO
- novembre 2004