Qui si narra la bizzarra
storia di Martino, custode notturno del Museo del Cinema di Torino, che ogni
notte si reca al fast food all’angolo, incontrando ogni sera Amanda, una
ragazza infelice del suo lavoro, in odore di corna col fidanzato, che forse
gli cambierà la vita, e forse no. Davide Ferrario
utilizza questa materia
narrativa (stringi stringi non originalissima) per parlare del cinema, della
solitudine, della potenza aggregatrice dei sogni adottando un registro di una
levità disarmante, perché sostanziosa, densa. Compiendo un’operazione per
certi versi contraria a quella di Bertolucci in
The Dreamers, il protagonista
interpretato da Giorgio Pasotti, che passa le sue notti guardando film muti,
con una propensione particolare per Buster Keaton, ne è talmente influenzato
da non interpretare ciò che ha visto (come faceva il terzetto
Pitt-Green-Garrel), ma da vivere come se la vita fosse un film. Per di più
muto.
Ferrario, che torna alla fiction dopo 5 anni di documentari e progetti
abortiti, cela dietro l’uso del digitale una libertà, narrativa e stilistica,
che il cinema italiano di oggi sembrava aver smarrito. Utilizza gli attori
come corpi vuoti, portatori ognuno di un’idea: così, ad esempio, la prova di
Pasotti è eccezionale soprattutto per la fisicità (keatoniana, per l’appunto)
con cui l’attore aderisce al personaggio, più che per la sua espressività.
Nonostante le premesse, Dopo mezzanotte non è affatto una riflessione
necrofila sul cinema, né un saccente prontuario del perfetto cinefilo. Lo
dimostra innanzitutto il fatto che la Settima Arte tirata in ballo non è
quella alla moda, magari più vicina a noi, ma quella remota, ottuagenaria, del
cinema muto. La regia cuce pezzi di passato e presente per dare vita a
qualcosa di nuovo: la notte torinese e i film dei Lumière,
Il fuoco di Pastrone (datato 1915) e le serie di Fibonacci, che testimoniano che il mondo
deve avere, in fondo in fondo, un senso. E il finale beffardo e lieve, in cui
luce e polvere scatenano la commozione, è uno dei più belli del cinema
italiano recente.
Dopo mezzanotte potrebbe rappresentare la rivincita del cinema italiano più
marginale: girato con pochi soldi, pochi mezzi, e molte idee, presentato nella
sezione Panorama dell’ultimo Festival di Berlino (dove ha vinto, fra gli
altri, il prestigioso Caligari Prize), è stato posto in apertura dell’ultimo
Bergamo Film Meeting, riscuotendo un impensabile successo di pubblico (per far
spazio ad una proiezione supplementare, nel programma è stato spostato
all’ultimo momento
Ombre rosse...).
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