La vita è un miracolo (Zivod Je Cudo)
Emir Kusturica - Yugoslavia 2004 - 2h 32'


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da Il Manifesto (Silvana Silvestri)

     La stazione e la linea ferroviaria di La vita è un miracolo l'ultimo film di film precedente in archivio Emir Kusturica film successivo in archivionon sono a caso la principale location del film. Da lì, stazione di Golubici zona sperduta al centro del futuro conflitto, Bosnia del `92, un ferroviere filosofo trasferito lì da Belgrado si incarica di testimoniare una svolta epocale, riportandoci con aplomb slavo nel pieno di un conflitto del tutto fuori moda nei nostri media. La vecchia ferrovia come strada di collegamento, via di fuga, meravigliosa metafora, e in particolare potente icona del cinema dell'est, fin dal tempo di Treni strettamente sorvegliati (film Oscar di Menzel dove un giovane ferroviere spensierato con il pensiero fisso delle ragazze fa succedere qualcosa di veramente significativo quando la Storia entra sul primo binario. Film straordinario, di grande energia come era magnifico il cinema di quell'epoca). Un altro ferroviere (l'emblematico attore Polivka, simbolo di non conformismo) prende in mano i destini di un intero treno in Calamita di Vera Chytilova: qui cercava di liberare un intero convoglio dalla morsa del ghiaccio in cui era rimasto imprigionato. Facile il riferimento, erano gli anni del congelamento completo del paese, ai primi segnali di cambiamento. Emir Kusturica c'entra moltissimo con tutta questa ambientazione, avendo studiato alla Famu, la prestigiosa scuola di cinema di Praga, studente prestigioso, poi diventato celebre, scontroso maestro, oggi quasi pacificato con un film dal titolo tanto esuberante non fosse che l'humour nero permea tutta la cinematografia balcanica, dalla Serbia alla Cekia. A cominciare dal vero protagonista del film: sarà l'ingegnere-ferroviere responsabile della piccola stazione che ha costruito con un suo microcosmo ideale in un plastico con l'obiettivo di collegare paesi limitrofi proprio là dove sta scoppiando la più feroce delle guerre europee? Però potrebbe anche essere l'asino che compare fin dalle prime scene, animale antico e per lo più scomparso nel mondo contemporaneo e che sembra essere molto più saggio e consapevole di tante persone che si agitano senza posa tutt'intorno a lui. Lui non si muove dalle rotaie e neanche il ferroviere: cosa vuoi che sia, è solo un po' di guerra, dice, e incolla i pezzi degli scacchi con la mostarda alla scacchiera così non cadono ad ogni bomba che scoppia. Un piccolo innocuo asino aveva completamente bloccato la carriera del suo maestro Jurai Jakubisko, censurato per vari anni per il solo fatto di averlo dipinto di rosso. Ai ragazzi del cinema negli anni sessanta sembrava tutto permesso, ma hanno pagato caro i loro scherzi e le loro invettive. Film amarissimo, opera della decadenza, sarabanda dedicata a una terra indivisibile, rende perfettamente conto del fatto che non è più epoca di nuove onde, sembrerebbe il frutto di una grande deflagrazione di immagini provenienti un po' da ogni paese dell'area: oltre le schegge impazzite del cinema ceco c'è perfino traccia della commedia buffa russa messa in scena negli spettacoli di inaugurazione, circolano personaggi ungheresi poco raccomandabili, partite di calcio seguite minuto per minuto e con grande partecipazione, come una guerra simulata sul campo che anticipa quella che si svolgerà di lì a poco. L'umanità che circola per il film crea una barriera beffarda con un certo mondo occidentale che ha parlato talmente tanto dei problemi jugoslavi da perdere la voce, a cominciare dai cronisti dei telegiornali, ai filosofi sparsi sui fronti, per tutti loro c'è una frecciata. Una guerra fatta scoppiare e pilotata per procurare grossi affari, sembra dire il film, non farà sparire le regole fondamentali, i valori della vita, quali che siano, le amicizie che non guardano la carta d'identità, non smembrerà un paese indivisibile nella sua cultura. Kusturica (lo abbiamo sentito prima e dopo la guerra) ha vissuto lo stesso disastro, mentre era lontano dal paese tutto è andato distrutto, anche parte della sua famiglia, sulle sue amicizie non ha potuto contare. Musica trascinante dai ritmi balcanici travolge con la sua musica un bel po' di anni che sembrano ormai lontani, personaggi e brani celebri, come un'epoca passata per sempre.

da Film Tv (Bruno Fornara)

     Kusturica si ripete, gira in tondo con gli eccessi, raschia il fondo del barile dei paradossi, gli manca il fiato delle invenzioni fantastiche. Ritorna dai compaesani, fa finta che sia la prima volta, si rimette a raccontare storie di guerra e baldoria, bravate e bevute, amori e sogni e uomini e animali e letti che volano. Storie che, francamente, sembrano sempre le stesse: e ogni narratore diventa noioso quando si limita a rimescolare le carte. Bosnia 1992, scoppia la guerra tra jugoslavi. Luka, ingegnere ferroviario serbo, viene lasciato dalla moglie cantante e suo figlio Milos, aspirante calciatore, finisce nell’esercito. Lui, nella casetta sulla ferrovia, si innamora della bella musulmana Sabaha, affidata alla sua custodia e nemica perché bosniaca. Come sempre, Kusturica ha in mente una sua Jugoslavia sognata, in cui tutti vivevano felici e, per far festa, sparacchiavano di qua e di là (per aria). Poi, non si capisce perché, hanno abbassato la mira e hanno preso a spararsi addosso. Kusturica non spiega, si trincera dietro il racconto e gli aneddoti. Qualche trovatina c’è ancora, però lui farebbe meglio a fermarsi a riflettere. Sulla storia e sulle sue storie.

cinélite TORRESINO all'aperto: giugno-agosto 2005