da La Repubblica (Roberto Nepoti) |
Citando
Italo Calvino, il professore di letteratura Jules Hilbert (Dustin Hoffman)
asserisce che i generi drammaturgici sono due: la commedia, che tratta
della continuità della vita, e la tragedia, che rappresenta
l'ineluttabilità della morte. Così è anche nell'esistenza quotidiana, dove
capita di sentirci sospesi fra commedia e tragedia; ma così è,
soprattutto, per l'ispettore del fisco Harold Crick. Il quale, in un certo
giorno della sua metodica esistenza, sente che tutto ciò che fa o pensa è
commentato da una "voce" intima d'ignota origine. Indagando, l'uomo scopre
che la sua vita è un romanzo in corso di scrittura e che l'autrice,
l'ossessiva Kay Eiffel (Emma Thompson), ha l'abitudine di concludere tutte
le storie con la morte del protagonista. Nel frattempo, conosce la
panettiera anarchica Ana (Maggie Gyllenhaal), con cui intreccia una storia
d'amore. Ora il punto è: riuscirà a sfuggire al pessimismo della
romanziera? In altre parole, Harold è l'eroe di una tragedia o di una
commedia? |
da Il Messaggero (Fabio Ferzetti) |
Sapreste raccontare la vostra vita? Conoscete il senso delle vostre mille azioni e sensazioni quotidiane? E se foste un personaggio, vivreste tragedie o commedie? Dai tempi del muto il cinema gioca sulla capacità di creare finzione rendendo i personaggi autocoscienti fino a scardinare le loro storie. Di solito però, dalle comiche fino a Nirvana e a Thruman Show, la cosa investe le forme del cinema. Vero come la finzione invece prende la strada insolita della letteratura (dei mondi possibili). In tempi di webcam siamo un po' tutti in un reality planetario: ma cosa succede se un giorno il grigio contabile Crick (Ferrell, perfetto) sente dentro di sé la voce di una narratrice che descrive attimo per attimo gesti, pensieri, tic e manie con cui lo zelante impiegato del fisco tiene alla larga la vita vera? E se si potesse incontrare la signora per farle sapere che: a) lui esiste davvero, non è solo una sua creatura. b) grazie a lei ha capito, sta già cambiando, ma lei deve dargli una mano... Con uno spunto simile il peggio è calcare la mano ma Forster (e Helm, sceneggiatore) sono bravissimi e, pur esagerando in zuccheri, restano sul registro dimesso richiesto da questa storia di solitudine. Morale ovvia, cast eccellente, trovate continue, sentimenti credibili. Un giochino. Ma spassoso e intelligente. |
da Rolling Stone (Matteo Bittanti) |
Prima o poi doveva succedere. Charlie Kaufman è assurto a genere cinematografico. Trovando nel debuttante Zach Helm un brillante discepolo. A differenza del Dottor K., però, qui la musa ispiratrice non pare tanto Philip K. Dick quanto Italo Calvino. Stranger Than Fiction (preferibile il titolo originale) è l'ennesima, godibile riflessione metareferenziale sull'intersezione tra realtà e immaginazione. Un generico agente delle tasse, Harold Crick (Ferrell), scopre un giorno che la sua esistenza è pura finzione, o meglio, è frutto delle fantasie letterarie di una reclusa scrittrice britannica, Kay Eiffel (Thompson). Afflitta da una crisi creativa, Kay ricorda l'introverso sceneggiatore di Adaptation, Charlie (Cage): ciò che li distingue è la folle dipendenza da nicotina della donna. Quando entra in scena l'insistente agente letterario (Queen Latifah), la vita del povero Harold si trasforma in un inferno, dato che Kay non prevede alcun happy ending per il suo amato/odiato personaggio. Trascinante gioco a rimpiattino tra creatore e creatura, servo e padrone, è impreziosito dalle performance di Hoffman e della Gyllenhaal. Sagace riflessione sull'estetica delle convenzioni cinematografiche, voce narrante in testa, a ben vedere non è che una variazione comica di uno straclassico del noir, D.O.A. di Rudolph Maté. Non solo. Come il celebre architetto Norman, il Forster della situazione sfoggia un'abilità fuori dal comune nella manipolazione degli spazi urbani (qui, Chicago). Ispirandosi a Playtime di Jacques Tati, Forster costruisce ambienti labirintici in cui Crick si ritrova, suo malgrado, intrappolato. Non raggiunge le vette sublimi di Ricomincio da capo, ma è una delle migliori farse metafisiche dell'anno. |
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TORRESINO febbraio
2007