Per chi
ha letto da ragazzina il romanzo di William Makepeace Thacheray Vanity Fair
e conserva l’eco delle emozioni allora provate, la trasposizione
cinematografica realizzata dalla regista indiana Mira Nair costituisce un
attacco ai ricordi. Non che la vicenda non sia rispettata. La storia è quella
che Tacheray ambienta nell’Inghilterra dell'800 e vede intrecciarsi, sullo
sfondo di momenti cruciali della storia, come la battaglia di Waterloo, la
vita di due giovani amiche: l’orfana Becky, decisa a conquistarsi con ogni
mezzo quel posto nell'alta società che la sua nascita sembra precluderle, e la
dolce Amelia Sedley, legata ad un'immagine ideale del suo passato che le
impedisce di aprirsi al presente; entrambe messe alla prova da una società
rigidamente classista.
Il romanzo crea due figure femminili di straordinario spessore, nella cui
psicologia il lettore penetra a fondo, e le varie situazioni sono rese più
appassionanti dal contrasto tra i due caratteri: da un lato Amelia,
pervicacemente sincera, leale, ingenua, dall’altro Becky, sensuale,
intelligente, scaltra. Mira Nair (Salaam
Bombay!,
Mississippi Masala,
Monsoon Wedding) nell’adattare il romanzo, fa una scelta
decisa, elegge come eroina del film la sola Becky, proponendola come
personaggio moderno, attuale (“ giudico Becky una donna in anticipo sui
tempi, forte anche nei compromessi, che era disposta ad accettare per uno
scopo”). Questa lettura è sottolineata anche dalla scelta dell’attrice
chiamata ad interpretare la protagonista, l’americana Reese Witherspoon, che
esprime bene il pragmatismo ma anche l’energia che la regista imprime al
personaggio. Ne guadagnano i dialoghi, tesi e brillanti, che contribuiscono a
dare al film, soprattutto nella prima parte, un ritmo vivace, quasi frizzante.
Tale spostamento dell’asse del romanzo, in sé legittimo (un buon adattamento
non può che essere una interpretazione), toglie però mordente a una delle
linee narrative portanti, che continua a svolgersi ma per cui lo spettatore
finisce per non provare grande interesse: il personaggio di Amelia, perdendo
il suo spessore, perde anche gran parte della sua credibilità e lo stesso
accade ai personaggi strettamente a lei collegati. D’altra parte acquista
maggiore spazio e vivacità il disegno del rapporto tra Becky e Rawdon (cui dà
una certa dose di fascino l’interpretazione di James Purefoy), trasformato in
un grande amore, ricco di complicità e passione: la regista vede i due
avventurieri come una sorta di Bonnie e Clyde, una coppia decisa a spingersi
fino al limite pur di raggiungere i propri obiettivi.
L’altra chiave di lettura scelta dalla Nair nell’interpretare il romanzo è
legata alle sue origini, ma non è estranea alla storia dello scrittore, nato a
Calcutta: c’è un filo rosso che percorre il film ed è l’evocazione di
atmosfere, costumi, danze, luoghi legati appunto all’India. Questo significa
un’immissione, nell’immagine, di colore, movimento, ricchezza compositiva,
insieme ad una sfacciata tendenza a inserire musiche e danze nel tessuto del
film, sposando quasi la grande produzione anglo-hollywoodiana con lo
stile di Bollywood.
Così nello sfarzo di scenografie e costumi, nel dipanarsi di grandi e piccole
vicende, nel progressivo calare del ritmo, i personaggi si fanno via via più
evanescenti. Se alla fine lo spettatore non esce scontento, resta certamente
lontano dal coinvolgimento che la regia vorrebbe come anima del suo
Vanity Fair:
“siamo veramente felici quando conquistiamo ciò che desideriamo?”
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