Le distese luminose
della steppa, gli squarci notturni al chiarore della luna: il paesaggio
esteriore di
Urga segna col lirismo della natura l'evolversi delle
psicologie umane, silenzi ed emozioni dei suoi protagonisti. Gombo è
un pastore della Mongolia cinese che trascorre la sua esistenza nel segno
della tradizione e di un amore appassionato per la moglie Pagma; l"urga"
è il suo laccio-bastone del comando, buono per accalappiare il bestiame
(o la moglie poco arrendevole), ma pure per ergersi come vessillo-indicatore
dei momenti di intimità. Pagma è una donna più emancipata,
memore delle disposizioni demografiche (con i loro tre figli sono già
"fuorilegge") e quindi preoccupata della selvaggia incoscienza
del marito. Più civilizzato ma non meno estroverso e "primitivo"
è Serguei, un compagnone russo bloccato nella steppa da un guasto
al camion, che trova nella franca ospitalità della famiglia mongola
un estraniante microcosmo ecologico-romantico, una graffito di cultura
forse arcaica, ma ricca di sincera solidarietà.
Per Gombo l'incontro con Serguei è l'occasione per riprendere contatto
con la civiltà. In città la moglie gli ha ben indicato cosa
andare a comprare in farmacia, ma il sorriso disarmante delle giovani commesse
mette in imbarazzo il povero pastore. In compenso egli saprà come
togliere dai pasticci l'amico, arrestato per ubriachezza molesta, e si
ricorderà di portare a casa, sui suoi cavalli, altri simboli del
progresso quali una bicicletta e, naturalmente, un televisore. Uno strano
incubo lo assale sulla strada del ritorno, tradizione e modernità
si scontrano nel riflesso simbolico dello schermo televisivo, ma ormai
la contaminazione culturale è un segno dei tempi. Gombo può
ancora permettersi di fare all'amore con sua moglie senza remore, ma sarà
proprio la voce del suo quarto figlio a raccontarci, anni dopo, lo snaturamento
di usanze e ambiente. All'orizzonte, nella steppa, sarà sempre più
difficile vedere sventolare l'urga, anche nella selvaggia Mongolia il paesaggio
si va "arricchendo" di fumose ciminiere...
L'afflato umanitario di
Urga stempera
in un affresco di indubbia poeticità la nostalgia per un mondo più
semplice e più "vero". In questi anni di cultura sincopata
Michalkov
opta per un cinema acquiescente, da interiorizzare con pazienza
e da interpretare con disponibilità, oltre le immagini, cercando
di cogliere la sensibilità dell'autore: "La mia esperienza
personale della natura è molto difficile da esprimere. Come l'amore:
le storie d'amore felici non sono interessanti. Io mi sento disarmato e
senza difesa nell'evocare la natura... La rivelazione fondamentale di questo
film resterà la steppa. La steppa è un avvenimento orizzontale,
ma la steppa è orizzontale per tutti tranne per i Mongoli. Per loro
è verticale. Lo sguardo turistico, da un autobus per esempio, è
soltanto orizzontale: niente foreste, niente colline. Ma se ti fermi, se
guardi e ascolti, se la tua presenza non turba nulla, può essere
che avrai il diritto di vedere la steppa com'è veramente: un avvenimento
divino come l'oceano, la taiga, o il deserto. Allora potrai tuffartici
dentro, metterti in verticale. Sentire i suoni, l'aria, i profumi..."
|