L'uomo privato
Emidio Greco - Italia 2007 - 1h 40'

     Un professore di diritto colluso col potere finanziario, piacione con le donne ma depresso, si trova a fare il bilancio della propria vita quando uno dei suoi studenti è ritrovato cadavere. Apprendiamo che i due condividevano la stessa ragazza e che il giovane pedinava il prof con la telecamera. Si direbbe che, nel realizzare L’uomo privato, Emidio Greco avesse in mente L’anno scorso a Marienbad. Diversamente dal film di Resnais e Robbe-Grilllet, però, questo intende produrre un senso oltre il puro sguardo; salvo che non sempre si capisce bene quale: sia la pista del “mystery”, sia quella introspettiva si perdono in un finale enigmatico…

Roberto Nepoti - La Repubblica

    Alla conferenza stampa per L’uomo privato di Emidio Greco, pugliese di nascita, torinese di formazione, ma romano da quando cominciò a fa re cinema dagli anni Sessanta, a una domanda sono sobbalzato. Al regista è stato chiesto se il suo fosse un film che avesse introiettato nel linguaggio filmico un linguaggio teatrale. Emidio Greco è scattato. No, ha detto. Lo ha negato risolutamente. «Semi fa questa domanda perché nel film si parla, o perché si parla più di quanto lei non ritenga giusto, posso risponderle solo che il cinema è un’arte sonora dal 1927. Io considero il sonoro non meno importante del visivo, delle immagini. Diciamo così, cinquanta e cinquanta». Aveva ragione quello spettatore o il regista? In effettivi sono film in cui il parlato, i dialoghi, sono così ricchi da indurre l’idea che vi sia un forte elemento teatrale. Ma nel teatro degli ultimi decenni a prevalere è l’elemento visivo. Negli anni Settanta vi fu tutta una tendenza che venne appunto detta del teatro-immagine. E come, insomma, se i ruoli si fossero rovesciati, ovvero come se fosse superfluo valutare in base alla prevalenza di un elemento piuttosto che di un altro. Ne L’uomo privato c’è una ricorrenza visiva che non avremmo potuto vedere in nessuno spettacolo teatrale. Vi sono inquadrature di elementi architettonici, fughe di archi, in cui il protagonista Tommaso Ragno per così dire si inoltra, ovvero si perde. Ciò corrisponde in modo spiccato alla sua situazione esistenziale: egli va da nessun posto in nessun posto, quella fuga di archi è precisamente la sua fuga da se stesso. Corrisponde anche a ciò che gli dice il padre, essere lo zero il numero perfetto. C’è, in questo personaggio, un’atmosfera interiore, o un’aura, che sia in termini visivi che in termini di eloquenza pura e semplice conducono sempre allo stesso punto concettuale, un punto in verità sgradevole, amaro oltre ogni misura, nichilistico. E un film insolito nel panorama del nostro cinema, sia quello impegnato sul fronte dell’analisi sociale, sia quello impegnato sul fronte dell’analisi dei sentimenti. E un film in negativo, di assoluta negazione del mondo contemporaneo. Un’altra domanda, in conferenza stampa, riguardava il titolo. Perché privato? che cosa significa? Il regista ha risposto secondo quanto si vede sia guardandolo come film-film, sia guardandolo come film macchiato da una qualche teatralità. Quest’uomo (Tommaso Ragno) un professore di diritto costituzionale, che vediamo per il primo terzo del film esclusivamente nella sua vita privata, è innanzitutto un uomo che è stato privato, o che si è privato di un qualche fecondo contatto con la sua esistenza, cioè con se stesso. Egli si ignora. A furia di disprezzare un mondo sul quale ha espresso una volta per tutte un giudizio a dir poco di rifiuto, egli ha rifiutato se stesso, o se stesso prima di rifiutare il mondo. Il professore de L’uomo privato in altra epoca lo si sarebbe accusato di aristotcraticismo. Forse sarebbe ragionevole chiedersi a che titolo quel suo disdegno. Ma Greco non si fa questa domanda. Preferisce osservare le conseguenze di un comportamento. Di qui nasce una certa sfumatura di sospensione, se non di giallo senza soluzione. A un certo punto, « l’uomo privato», i cui contatti sono solo con donne (o del passato, o del presente) viene colto in flagrante. Gli arriva, nella sua casa romana, un video. Il mittente è anonimo. Ma è anonimo per lui, non per noi spettatori. Noi ci siamo già accorti che da tempo un ragazzo lo osserva, lo in segue, lo spia. Il mittente è lui - il ragazzo-, uno studente del nostro «uomo privato», uno studente che a volte c’è e che a volte non c’è (a lezione). Ma costui ha rapporti con l’attuale ragazza del suo professore, il quale, per altro e come al solito, è sul punto di liberarsene. Quando l’«uomo privato» si accorge, guardando il video, d’essere stato non solo pedinato ma addirittura filmato, la corazza nella quale è chiuso va in pezzi: essere privato, cioè di se stessi intimi, è impossibile, queste sono le stimmate del mondo che lui ha rifiutato, questa è la spietatezza del mondo, la possibilità, a nessuno concessa, di sottrarsene. Ma questa, anche, è la spietatezza del protagonista; a furia di chiudersi in se stesso, egli non è più in grado di fronteggiare alcunché, tanto meno l’improvviso, sempre in agguato.

Franco Cordelli - Il Corriere della Sera

    Tutto funziona per allusione: il protagonista è un professore universitario (di diritto), tutte le persone che frequenta sono definite per la loro funzione (onorevoli, manager, giornalisti, dame che gestiscono salotti); i dialoghi mettono in scena un infinito pettegolezzo da jet-set che non va mai al dunque. La scelta è evidente: narrare i potenti del nostro paese attraverso le loro apparenze, i loro maneggi, la loro inesausta abilità nel tessere trame e rapporti. La finzione è esplicita: ma il risultato è che tutto sembra tragicamente finto, i personaggi non hanno carne e il protagonista, l’uomo privato del titolo, non affascina neanche un po’, è solo un odioso simulacro del potere… Un film visivamente bello (ottima la fotografia di Gherardo Gossi), ma gelido come un trattato di politologia.

Alberto Crespi - L'Unità

    Seviziato da troppe amanti, iperangosciate o logorroiche, e annoiato dal successo, un prof universitario quarantenne (Tommaso Ragno, inquietante nella sua recitazione «a levare pressoché tutto»), sorta di Sgarbi, se non fosse anche oggetto d'attrazione dei suoi studenti in diritto, oltre che di vip, ingioiellate rifatte, yes-men e di un misterioso persecutore invisibile, scopre, grazie altri due brividi (quasi un avviso di garanzia e un intoppo professionale) quanto sarebbe inebriante la vita, se non del perdente, almeno in un noir. E che forse sarebbe meglio la fuga e l'approdo in un altrove snodato, rivoluzionando i propri sistemi pulsionali. Strana l'autocritica, anche se il tono è sabaudo, di un autorevole cineasta old fashion che non ne può più delle proprie ossessioni e piaceri ritmico-ottico-sentimentali, e chiede a chi fa e vede cinema, di aprir finestre, far entrare aria nuova e leggerezza, per contrastare i drammi rosa schiocchi parrocchialmente doc, almeno con un individualismo celibe ed anarchico. La pesantezza non dell'essere ma del set, della città come corpo contundente però si oppone alle capriole formali promesse da L’uomo privato. Certo, questa di Emidio Greco è ancora una storia metropolitana sulla privacy impossibile.

Roberto Silvestri - Il Manifesto


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Un professore di diritto colluso col potere finanziario, piacione con le donne ma depresso, si trova a fare il bilancio della propria vita quando uno dei suoi studenti è ritrovato cadavere. Apprendiamo che i due condividevano la stessa ragazza e che il giovane pedinava il prof con la telecamera... Tutto funziona per allusione: le persone che il prof frequenta sono definite per la loro funzione (onorevoli, manager, giornalisti, dame che gestiscono salotti); i dialoghi mettono in scena un infinito pettegolezzo da jet-set che non va mai al dunque. La scelta è evidente: narrare i potenti del nostro paese attraverso le loro apparenze, i loro maneggi, la loro inesausta abilità nel tessere trame e rapporti.
C’è una ricerca figurativa che cerca corrispondenza alla situazione esistenziale del protagonista. Vi sono inquadrature di elementi architettonici, fughe di archi, in cui il protagonista per così dire si inoltra, ovvero si perde: egli va da nessun posto in nessun posto, quella fuga di archi è precisamente la sua fuga da se stesso. Un film di grande forza visiva, gelido come un trattato di politologia.

LUX - novembre 2007

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