L’ultima
fatica del regista argentino Alejandro Agresti è un melodramma
sentimentale fortemente legato alla sua terra d’origine, intitolato con
diabetica fantasia
Tutto il bene del mondo,
titolo italiano (in realtà il titolo originale equivale a “un mondo meno
peggiore”) che ha il pregio di focalizzare con indubbia efficacia la
metafora centrale del film. La trama è imperniata sulla felice
scoperta
di un uomo che poteva diventare un desaparecido, uno che ha cancellato per
troppo tempo un passato impossibile, a cui il caso ha rifilato per le mani
in extremis un nuovo futuro, offrendogli una seconda chance quando ormai
non se l’aspettava più. Una donna matura parte da Buenos Aires con le due
figlie al seguito alla volta di una sperduta località marina per ritrovare
il marito, che credeva morto da vent’anni. L’uomo, che per vivere è
diventato il fornaio della cittadina, è sparito nel nulla quando ancora la
moglie era incinta della prima figlia, mentre la seconda è nata di recente
da una relazione con l’irresponsabile di turno. Il protagonista, che ha
dovuto lottare duramente con se stesso per abituarsi alla sua nuova vita,
all’inizio fa finta di non riconoscere la moglie che, con ostinata
insistenza, continua a pararglisi davanti finché il marito di un tempo non
accetta di provare a venire a patti con un passato rimosso con chirurgica
precisione.
Tutto il bene del
mondo
racconta la storia di un ex idealista che credeva in un mondo migliore, ma
ha dovuto adeguarsi alla legge del più forte, rassegnandosi ad un mondo
soltanto sopportabile: quando dal nulla si ripresenta la famiglia che gli
è stata negata per vent’anni, dovrà abituarsi all’idea che un mondo meno
peggiore è ancora possibile per lui... Bella storia, attori in parte e una
regia dai toni calibrati: Agresti, attento ad evitare le lacrime facili,
tratteggia con sensibilità la voglia di ripartire dell’Argentina di oggi,
senza trascurare un passato recente difficile da dimenticare. Come questo
piccolo film dove tutto gira per il verso giusto...
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