Le tre scimmie
(Üç
Maymun)
Nuri
Bilge Ceylan -
Turchia
2008
- 1h 49'
|
CANNES: premio per la miglior regia
Il titolo
Le tre scimmie
allude alla favola giapponese delle tre scimmiette che si coprono gli
occhi, le orecchie, la bocca. Lo stesso facciamo noi umani: quando siamo
spaventati o feriti, speriamo di cavarcela ignorando la realtà. Una
famiglia di Istanbul — padre, madre, figlio! Adolescente — corre verso lo
sfascio sotto il peso di troppe responsabilità: l'uomo ha accettato di
prendere il posto di un altro in carcere; la moglie ha avuto una relazione
con lo stesso individuo; il figlio si sente in colpa per essersi
intromesso nell'affare. Ben lontano dal limitarsi a raccontare una storia
di adulterio, con
Le tre scimmie
(suo terzo film in concorso a Cannes) Nun Bilge Ceylan
tratteggia un
apologo umanistico pieno di amarezza e, insieme, di compassione sulla
difficoltà di amare e di vivere insieme.
Già fotografo di professione, si affida più alle immagini che ai dialoghi,
sottolinea il gioco degli sguardi, preferisce la sottrazione all'accumulo.
Vero esempio di inter-culturalità (il finale evoca una parabola
evangelica), un film d'autore nel senso migliore del termine. Dovesse
vincere la Palma d'oro, Ceylan sarebbe il secondo cineasta turco ad
aggiudicarsela, dopo il suo maestro Guney. |
Roberto Nepoti – La
Repubblica |
Non tutti i
demoni dei tormentati personaggi del film sono evidenti. Il regista turco
Nuri Bilge Ceylan, in questo potente e crudo dramma familiare, ha scelto
di lasciare fuori dallo schermo gran parte degli orrori e dei delitti di
cui sono colpevoli e vittime i protagonisti, ma indugia sull'agonia,
deliberatamente prolungata, delle conseguenze delle loro azioni. Malafede,
risentimento, adulterio e omicidio sono al centro del quinto cupo film di
Ceylan che segna una forte svolta narrativa nella sua filmografia. |
Justin Chang - Variety |
Il bello di
questo dramma alla Simenon non sta nei fatti decisivi quanto nei tempi
morti, nelle esitazioni, nei rovelli, nell'ambiguità di cui è impregnato
ogni rapporto, fra moglie e marito, fra madre e figlio, fra figlio e
padre. Per non parlare del fantasma di quel fratello morto bambino che
aleggia sopra di loro come un monito. Regia superba, attori bravissimi
(specie la moglie, Hatice Aslan), sentimenti mai visti. |
Fabio Ferzetti –Il
Messaggero |
Nuri Bilge
Ceylan, soprannominato l'«Antonioni di Istanbul», affronta col bisturi
della cinepresa i nodi della parentela, ma la sua sensibilità è assai più
intonata ai paesaggi umani e societari prescelti: grazie alla duttilità
degli attori, le piccole storie di segreti e bugie, i tradimenti e gli
affetti, le pulsioni sessuali e i tabù si concentrano in un film rarefatto
eppure intenso, estenuato ma non soporifero.. |
Valerio Caprara –
Il Mattino |
Miscela
fra
Delitto per delitto
di
Hitchcock
e
Dramma della gelosia
di Scola,
Le
tre scimmie di Nuri Bilge Ceylan è un altro capitolo della – chiamiamola
così - «Vita quotidiana sul Bosforo» senza sole (o quasi). Vincitore del
Gran premio della giuria e del premio per l'attore al Festival di Cannes
del 2003 (Uzak),
Ceylan sa raccontare queste vicende di varia borghesia urbana. Però ha,
logicamente, un senso del ritmo orientale, dilatato. Che un piccolo
politico (Ercan Kesal), battuto dal partito di Erdogan alle elezioni,
uccida con l'auto uno sconosciuto; che paghi il portaborse (Yavuz Bingöl)
perché vada in galera al suo posto; che, intanto, gli seduca la moglie (Hatice
Aslan) e l'abbandoni, provocando la vendetta del figlio (Ahmet Rifat
Sungar) di lei, richiederebbe un'ora; Ceylan ce ne mette quasi due... Se
si ha pazienza, si possono contemplare ventosi paesaggi marini e mature
nudità femminili, insolite per un film che viene da un Paese sempre meno
secolarizzato, se vota Erdogan. Non si esclude, qui a Cannes, un premio
per l’interprete Yavuz Bingöl. |
Maurizio Cabona - Il
Giornale |
promo |
In questo potente e crudo dramma familiare, la scelta è quella di
lasciare fuori dallo schermo gran parte degli orrori e dei delitti
di cui sono colpevoli e vittime i protagonisti, indugiando invece
sull'agonia, deliberatamente prolungata, delle conseguenze delle
loro azioni. L'anima della narrazione non sta nei fatti decisivi
quanto nei tempi morti, nelle esitazioni, nei rovelli,
nell'ambiguità di cui è impregnato ogni rapporto, fra moglie e
marito, fra madre e figlio, fra figlio e padre. Un film rarefatto
eppure intenso, estenuato ma non soporifero. |
LUX
- settembre 2008