torneranno i prati
Ermanno Olmi - Italia 2014 - 1h 20’

   Al cinema la guerra può essere raccontata in due modi. C’è un filone che utilizza il registro epico, sceglie una vicenda di ampio respiro e, volando come un rapace, ci mostra il contesto e planando si concentra sui fatti; il secondo, invece, è un filone di racconto di situazioni. L’ultimo film di Ermanno Olmi, torneranno i prati, scritto rigorosamente tutto in minuscolo, fa parte di questa seconda categoria. Olmi con torneranno i prati riesce a ritrovare forza e lucidità, utilizzando quella semplicità che ha reso grandi i suoi capolavori.
La situazione che racconta dura il tempo di una mezza giornata. Siamo in un giorno qualunque della prima guerra mondiale. La neve spessa diversi metri copre tutto il paesaggio. Dentro le rocce è scavata una trincea di soldati italiani. Quella austriaca è poco distante da loro. «Sembra di riuscire a sentire il loro respiro» dice un soldato italiano. Quando viene dato l’ordine di presidiare un nuovo avamposto, in modo da poter spiare e controllare meglio il fronte nemico, tra i soldati si scatena il panico. Non è necessariamente paura di una morte imminente, vista la difficoltà estrema dell’azione richiesta. Olmi si sofferma su un sentimento ampio, una vertigine capace di abbracciare diversi livelli di stati d’animo. C’è la paura, certo, ma c’è anche la rassegnazione di chi sa di essere un pover’uomo, perché per lui la vita ha deciso così, c’è la disperazione di chi compirà un gesto estremo, c’è l’incredulità davanti a una situazione incomprensibile, c’è la riflessione sul senso della guerra, sul significato dei comandi e dell’obbedienza, sulla natura del sentimento di amor patrio, quando a dare i comandi è qualcuno seduto dietro una scrivania nel caldo di un palazzo, e quando chi sta dall’altro capo a riceverli vive i suoi giorni e le sue notti in trincea, comandando una truppa di uomini più morti che vivi, e annusa l’odore di morte come gli animali pronti per il macello. I gradi sono tanti sotto lo zero e significano dolore e paura, i gradi appesi sulla giacca, in quelle situazioni, invece non significano più niente.
Olmi squarcia la sua trincea con questa breve parabola di una notte. Lo spettatore viene interpellato dallo schermo. Gli attori parlano rivolgendosi alla camera, cercano di guardare in faccia chi ora li sta guardando.
Ci sono due modi per raccontare la guerra al cinema. Un film come Salvate il soldato Ryan
utizza la struttura del ritorno a casa. Il viaggio di una truppa, di un soldato, è la storia di Ulisse. Penelope è una madre che attende il suo ultimo figlio rimasto vivo. Invece, torneranno i prati, è un film la cui struttura narrativa si rifà al concetto esistenzialista dell’hic et nunc, del qui e ora. Olmi gira un film breve, in cui la trama si consuma come l’olio di una lanterna. In un’ora e un quarto ci porta dentro un momento terribile, di storia, di guerra. Ci fa vedere, qui e ora, come fossimo al grande fratello. Accende la sua cinepresa e ci chiede di stare con quei soldati. Moderno e potente, rigoroso e lucido. «Di quel che c’è stato qui non si vedrà più niente, e quello che abbiamo patito non sembrerà più vero» dice un soldato nel finale. torneranno i prati è un film che agli uomini, chiede due cose, di non dimenticare, ma anche di cambiare.

Alberto Fassina - La Difesa del Popolo

   Lungi dall'essere consolatorio, il titolo dell'ultimo film di Ermanno Olmi, torneranno i prati, ha un senso amaro: allude all'ipocrisia della Storia riguardo le migliaia e migliaia di vittime sepolte sotto la neve durante la Grande Guerra, di cui tutti saranno pronti a dimenticarsi al primo riapparire dell'erba, ovvero in tempo di pace. E insieme a quei corpi sarà rimosso l'orrore assoluto di una guerra ingiusta e inaccettabile come qualsiasi altra guerra: questo il messaggio, forte e radicale, del maestro bergamasco. (...) il film inscena una specie di fantasia onirica, un affresco fra l'astratto e l'espressionista (in certi momenti si pensa alla pittura del tedesco Kiefer Anselm) nutrito dell'humus di una zona che non solo è stata feroce teatro di scontro e abbonda di ossari, steli, croci; ma è anche il luogo di vita e riflessione dell'autore, come si sa asiaghese d'elezione. Racconti paterni a parte, Olmi si è familiarizzato con la guerra girovagando nei boschi intorno a casa, conversando davanti al fuoco con l'amico «Sergente della neve» Mario Rigoni Stern, e ascoltando i paesani a partire dal «recuperante» Tony Lunardi. Non poteva che essere ambientato lassù sulle sue montagne, a un chiarore lunare che trasecola ogni cosa in una sorta di metafisico bianco e nero, questo accorato appello «contro»: contro le carneficine e il Potere, in nome degli uomini di buona volontà sotto ogni cielo.

Alessandra Levantesi Kezich - La Stampa



 

promo

Fronte Nord-Est, dopo gli ultimi sanguinosi scontri del 1917 sugli Altipiani. Il racconto si svolge nel tempo di una sola nottata. Gli accadimenti si susseguono sempre imprevedibili: a volte sono lunghe attese dove la paura ti fa contare, attimo dopo attimo, fino al momento fatale in la pace della montagna potrà diventare il luogo dove chiudere la proria esistenza. Il passato appartiene alla memoria (tutto ciò che si narra in questo film è realmente accaduto) e ciascuno lo può evocare secondo il proprio sentimento. Olmi "sente" quella pace e quella sofferenza e ritrova qui forza e lucidità e quella semplicità che ha reso grandi i suoi capolavori.

film precedente presente sul sito

 LUX - dicembre 2014

film successivo presente sul sito