L'assoluto naturale ha preso la mano di Malick che replica la fenomenologia d'un amore perduto e non ritrovato nel trasloco dalla Francia in Usa. L'albero della vita è ancora spoglio, l'occhio del regista si muove torrentizio e lirico fino a raggiungere alla Bergman il prete della porta accanto (Bardem). Melodramma con un grande cuore che rischia spesso il manierismo... |
Maurizio Porro - Il Corriere della Sera |
Per alcuni è un capolavoro, per altri (noi inclusi) è un film poco riuscito. Non che il texano Terrence Malick abbia rinnegato se stesso: anzi, in un susseguirsi di immagini di volti, corpi, fiori, cieli, alberi, accompagnate da una musica altisonante e pensose riflessioni fuori campo, To the Wonder porta inconfondibile la sua firma di poeta del cinema. Il problema è che in The Tree of Life la componente lirica era giocata su un nucleo forte: la rievocazione di un passato infantile dominato da due genitori incarnati da Pitt e Chastain con vibrante emozionalità; mentre in To the Wonder appare un esercizio estetizzante intorno a una scatola vuota. Ovvero l'insulsa storia fra il monocorde Ben Affleck e l'inespressiva Olga Kurylenko, che ovunque sia, da Parigi alle pianure dell'Oklahoma, è tutta un sognante saltellare. Nessuno stupore che lui approfitti del ritorno in Francia di lei per invaghirsi di Rachel McAdams, mentre il contraltare a questo problematico amor profano è l'amor sacro che il sacerdote in crisi Javier Bardem aspira a ritrovare. Al solito, il disegno di Malick è quello di incidere l'effimero paesaggio umano di metafisico spessore, ma stavolta la poeticheria ha avuto il sopravvento sulla poesia. |
Alessandra Levantesi Kezich - La Stampa |
Terrence Malick non è regista da grandi incassi nemmeno quando fa capolavori, figurarsi quando - per la prima volta in carriera - «toppa» un film in modo clamoroso. To the Wonder è il suo sesto lungometraggio in 40 anni (...) ed è il primo decisamente sbagliato. Prima o poi, doveva capitare. To the Wonder sembra realizzato con gli scarti di montaggio di The Tree of Life, il precedente film vincitore a Cannes nel 2011: gli somiglia molto, ma racconta una storia (storia?) assai meno interessante e non ha nemmeno un millesimo della forza visionaria ed evocativa del capostipite. (...) Dialoghi quasi assenti, estenuanti voci off recitate con intonazione sacrale: più che un film, sembra l'interminabile trailer di un film che deve ancora iniziare. |
Alberto Crespi - L'Unità |
Se soffrite di insonnia, questo è il film giusto per risolvere il problema, anche se il rischio di cadere in depressione è alto. Due ore di sermoni del recidivo cine-guru Malick sul tema della anaffettività, sia negli affari di cuore che in quelli di fede. Affleck recita per tutto il film con espressione inebetita; non si è ripreso dalla lettura del copione. |
Massimo Bertarelli - Il Giornale |
Fitto intreccio, tra i seguenti elementi: l'amore tra uomo e donna; fede religiosa; presenza potenza e protagonismo della natura e dell'ambiente ma molto più quello naturale di quello sociale (luce, vento, acqua, cielo, terra, animali bradi, spazio); senso del piacere e dell'abbandono al piacere, del dolore e del dovere, della vita. Attraverso un violento confronto-contrasto tra Europa (Parigi, Bretagna delle maree e della fine della Terra) e America (sconfinati non luoghi e distese extra metropolitane, bellezza e purezza ma anche e molto bruttezza e inquinamento). Durata insolitamente contenuta (meno di due ore). Ricorso alla parola superiore ai suoi standard, sia pur secondo modalità più indirette (voci interiori, divagazioni monologanti) che dirette (dialoghi). Il coprotagonista Ben Affleck non apre bocca dall'inizio alla fine o comunque non lo udiamo. (...) Resta perfettamente vero che quello di Malick è un cinema le cui parole-chiave sono fantasia, pensiero e immagini. E continuiamo a rispettare, data la forza delle suggestioni che ci ha regalate, il fatto che quella di comunicare non è la sua preoccupazione primaria. Ma è difficile negare la sensazione di una tendenza al ribasso ripetitivo. E anche quella che l'eccellenza enigmatica del suo prestigio dovesse molto alla rarità delle sue esternazioni. |
Paolo D'Agostini - La Repubblica |
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Per alcuni è un capolavoro, per altri è un film poco riuscito. Malick non rinnega se stesso: anzi, in un susseguirsi di immagini di volti, corpi, fiori, cieli, alberi, accompagnate da una musica altisonante e pensose riflessioni fuori campo, To the Wonder porta inconfondibile la sua firma di poeta del cinema. Un cinema le cui parole-chiave sono fantasia, pensiero e immagini e dove suo disegno del suo autore è ancora una volta quello di incidere l'effimero paesaggio umano di metafisico spessore. Melodramma con un grande cuore che rischia spesso il manierismo e la noia... |