Dall'inizio
secolo ad oggi il ricordo del naufragio del Titanic è sopravvissuto,
con saltuaria intensità, nella memoria delle gente (a livello di
spettacolo si contano 17 film sull'argomento, un musical attualmente in
cartellone a Broadway e, in Italia, anche un album omonimo di Francesco
De Gregori). Ora c'è da chiedersi se, da oggi in poi, nell'immaginario
collettivo avrà più posto la memoria storica di quella fatidica
notte del 1912 o l'eclatante successo di Titanic-il film, sceneggiato
e diretto da
James Cameron.
Occorre un minimo di surplace critica per distaccare l'analisi artistica
da quella produttiva, tanto sono ingombranti, a livello commerciale,
le "dimensioni" del
Titanic. Certo è che il film (per il quale ci si
aspetta una pioggia di
oscar)
ha acceso le fantasie romantico-nostalgiche di adulti e adolescenti,
tutti incuriositi dalla straordinaria eco che i massmedia non hanno
mancato di creare attorno all'evento cinematografico. Ne valeva la pena?
Vediamo subito le ragioni del sì.
La storia del disastro-Titanic è più o meno nota. Un transatlantico
dichiarato inaffondabile, un viaggio inaugurale (Southampton-New York)
all'insegna della mondanità, una velocità di crociera eccessiva
ed un iceberg maledetto giunto nottetempo a squarciare il fianco della
nave (con tutte e cinque le camere stagne allagate!), un affondamento
inesorabilmente rapido (meno di tre ore) e l'inadeguata attrezzatura delle
scialuppe di salvataggio (bastanti per poco più di metà dei
naviganti); infine l'acqua gelida dell'Atlantico e nessuna nave di soccorso
a distanza utile...
Su
questo dramma della storia del mare e sul ritrovamento (nel 1985) del
relitto si imbastisce la vicenda di Titanic, che si apre con immagini
subacquee di grande atmosfera, ad illustrare le ricerche di un giornalista-avventuriero
(Bill Paxton) che spera di rintracciare tra i rottami della nave il mitico
"cuore dell'oceano", un diamante di 56 carati forse ancora racchiuso
in una cassaforte dello scafo. Scoprirà soltanto il disegno di
una donna seminuda, che porta al collo la collana col famoso gioiello.
I servizi televisivi sul ritrovamento lo portano comunque in contatto
con un'anziana signora che si rivela la donna del ritratto e che sviscera,
alla troupe di ricercatori (e al pubblico), il ricordo della sua straordinaria
avventura.
1912, molo di Southampton. Mentre, in "processione" aristocratica,
Rose Dewitt Bukater (Kate Winslet)
e il suo ricchissimo (e odioso) fidanzato Cal Hockley (Billy Zane) si
imbarcano sul Titanic, il giovane squattrinato Jack Dawson (Leonardo
Di Caprio) vince, in extremis, un biglietto d'imbarco per la terza
classe. I
giochi narrativi sono presto fatti e quelli "sociali" pure.
Squisitamente romantico e sfacciatamente populista, Titanic imbastisce
una storia d'amore tutta passione e coscienza civile tra Rose e Jack:
l'intensità del loro sentimento cresce di pari passo con il fastidio
di Cal per la confidenza col il bellimbusto di terza classe (che ha salvato
Rose da un tuffo suicida nell'oceano) e con l'evolversi del disastro navale,
che, se si configura con la dolorosa ineluttabilità delle coincidenze
avverse, non manca di stigmatizzare la "disastrosa" ambizione
del progetto ("ora avrà il suo titolo sui giornali"
sibila il comandante al finanziere-costruttore, quando il dramma sta per
compiersi).
L'epilogo
di Titanic è maestoso e tragico come doveva essere (che
idea fondere genere catastrofico e love story a tutto tondo!) e la regia
di Cameron è perfetta nell'amalgama effetti speciali - movimenti
di macchina - struttura del montaggio. Eppure, con tutta la sua dirompente
atmosfera "epocale", Titanic non è il Via col
vento degli anni '90. Cameron esalta con perizia la suspance del naufragio
e gioca fin in fondo la carta romantica (con la sorpresa finale relativa
al gioiello), ma perde di vista lo splendido spunto della rielaborazione
del ricordo e del fascino della nostalgia.
E così, mentre con la consueta, ingannevole ambiguità del
racconto soggettivo, "vediamo" attraverso gli occhi della vecchia
Rose l'evolversi di una vicenda che va ben oltre la sua esperienza diretta,
la vera commozione che resta non è quella, ovvia, sulle lacrime
dell'attonita troupe, bensì quella, indotta, sul ricordo radioso
dell'esaltazione momentanea sul ponte del Titanic che "sprofonda"
all'improvviso, tra le incrostazioni del mare, nel buio degli abissi e
dell'oblio. Indimenticabile.
ezio leoni
-
La Difesa Del
Popolo
15
febbraio 1998
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