The Humbling
Barry Levinson - USA 2014 - 1h 52'

 fuori concorso - VENEZIA 71



    Quando ci si reca ad un festival, uno dei giochi più divertenti è quello della ricerca di fili conduttori, assonanze, sintonie tra i film presenti. Spesso è un’attività a cui sono dediti i coloristi (“Il tema di Cannes XY è il sesso! Questa volta suggerito, non esplicito come a Cannes XX!”) sui quotidiani maggiori, ma anche il comune cinefilo può divertirsi ad andare a caccia di simmetrie di qualunque genere, non di rado con un fine che potremmo definire “nobile”: decifrare quello spirito del tempo che è in grado di restituire un cinema prodotto in un preciso momento storico e mostrato in un preciso luogo, in un intervallo di tempo definito.
The Humbling, presentato Fuori Concorso a Venezia 71, è un film che registra curiose analogie tematiche e strutturali con Birdman di Alejandro González Iñárritu: un uomo, un tempo celebre, ora solo in mezzo ad un palco, alle prese con il dramma del proprio declino. Nel film di Iñárritu è un ex divo del cinema di cassetta a cercare di tornare alla ribalta; Simon Axler, protagonista di The Humbling, non è stato invece la star di un mondo effimero come quello dello show business: è stato un vero attore, un Laurence Olivier, un John Gielgud, scivolato però in una profonda crisi personale che coincide con la senescenza, e con tutti i problemi che essa si porta dietro. L’ispirazione per il personaggio di Axler proviene dal romanzo omonimo (2009) di Philip Roth: eppure, piuttosto che a Roth e al suo L’umiliazione, guardando il film di Levinson viene da pensare ad Al Pacino (vero nume tutelare del film, essendo proprietario dei diritti del libro) e alla sua quasi cinquantennale carriera. Dedito negli ultimi anni a gigioneggianti lavori alimentari sul grande schermo, Pacino continua una appassionatissima carriera sul palcoscenico, come testimoniato anche dai suoi documentari Riccardo III e il recente Wilde Salome. E’ questo elevato grado di identificazione a trascinare dentro la storia di perdita di sé di The Humbling: toccante quando parla di deriva personale, ma comunque non morale, pudico nell’approcciarsi con un’ironia lieve al racconto di quel che resta dopo una vita passata a fingere di essere qualcun altro. A sorprendere è anche il tocco della regia: l’ultrasettantenne Levinson è sempre stato un regista greve e incapace di mezzi toni, ma con l’età ha almeno acquisito la capacità di rispettare i suoi personaggi, e stavolta è in grado di costruire con rispetto un film attorno a Pacino/Axler senza svaccamenti di sorta. Probabilmente i suoi meriti sono da condividere con un terzo grande vecchio del cinema americano, Buck Henry che, ultraottantenne, firma una sceneggiatura che una volta si sarebbe definita “di ferro”.
In un ipotetico confronto con Birdman, il film di Levinson appare senz’altro più “tradizionale” (ammesso che esista questa categoria riferita alla Settima Arte), ma più riuscito, e sicuramente più toccante. Dove Iñárritu mette un piano acrobatico con invisibili tagli di montaggio rimaneggiati al computer,
The Humbling risponde con un anziano leone imbevuto di palcoscenico, sprofondato in un divano, che ci mostra il suo dolore fingendo di non provarne (e il finale sul palcoscenico, in cui la finzione scricchiola, è magnifico).
La platea di Venezia 71 ha dimostrato di apprezzare meno questa “tradizione”: per questo invitiamo ad una immediata riscoperta.

Pietro Liberati - ottobre 2014 - pubblicato su MCmagazine 3