Se
n'è appena andata Maria Braun, arriva Oskar del
Tamburo di latta:
un altro modo di vedere la Germania, un altro spaccato di storia
tedesca vibrante nel punto più empio, gli anni del nazismo. Fassbinder
sogghignava, con una parafrasi melodrammatica, sulla ricostruzione del
dopoguerra; Schlöndorff, che ha un senso più severo della politica e
delle ascendenze culturali, cerca nel recente passato un germe di
continuità e di spiegazione.
Ma naturalmente non ha fatto solo un film storico o un film politico;
ha pitturato una grande scena, grottesca, affollata, divertente,
traendola dalla riserva immaginosa e sarcastica del romanzo di Grass
pubblicato sul finire degli anni cinquanta. Lo spettatore è coinvolto
e turbato da una favola che si: fa parabola, da una favola che non si
chiude, il suo protagonista abita nei nostri tempi. Forse per stare
con noi ha rifiutato di crescere durante il nazismo. Il film è la
storia meravigliosa e ridicola di questa non crescita.
Oskar vede la luce a Danzica alla vigilia della dittatura, in un posto
cruciale, in un momento cruciale. Non vorrebbe neppure abbandonare la
tenera, rossa caverna dell'utero materno; gli piacerebbe ingoiare il
tempo per fermare la Storia. Solo la promessa di un tamburo di latta
(infaticabile strumento di gioco e di disturbo) lo induce a entrare
nel mondo. Nutre verso la famiglia e la società tedesca un affetto
iroso e spaventato, è pronto al ricatto come allo sconforto, punisce
gli altri perché non lo proteggono. A metà dell'infanzia decide di
restare un bambino, dopo una rovinosa caduta smetterà di crescere.
Ha scelto tempestivamente il ruolo del testimone e del rompiscatole,
sfrutta le sue doti e i suoi mezzi. Ha una voce così acuta che uno
strillo manda in frantumi tutti i vetri dei dintorni; ritma sul suo
tamburo la grottesca necessità di quello che la Storia sta tramando.
Il suo incontro col nazismo sarà una memorabile carica di tamburo
contro una parata. Vedrà l'ascesa e la caduta della dittatura da un
posto privilegiato, dal basso, fingendo di poter restare passivo e
incorrotto. Prenderà il divertimento con cinismo dove si trova, tra le
divise e le finzioni marziali.
Mentre un poco per volta la guerra dirada la sua famiglia, compirà un
suo viaggio personale nell'orrore travestito da farsa. Un nano in
abiti di gerarca nazista gli rivela: «Noi siamo troppo piccoli per
perderci di vista». Alla fine della guerra, all'arrivo delle
truppe sovietiche, Oskar capisce che il suo gioco è finito, diventerà
adulto su una carriola mentre si dirige all'Ovest.
Il tamburo di
latta che ha
ottenuto la Palma d'oro a Cannes con
Apocalypse Now
sta insieme con un laborioso e suggestivo equilibrio. Anche se qua e
là si sente il peso della fatica. La lingua di Schlöndorff non è
fiabesca, ha il minuzioso realismo degli incubi e della Storia; ma a
tratti s'accende, tra nani e nazisti, qualche brillio affettuoso che
si direbbe felliniano. È stato Schlöndorff a richiamare, solo per
analogia critica, Amarcord di
Fellini,
che era il ritratto del borghese italiano, del provinciale italiano
dentro il fascismo, come il Tamburo è la caricatura, ma anche la
salvezza del piccolo borghese tedesco, quando non accetta i fatti e
sopravvive nell'anarchia, in attesa di tempi propizi.
Ma quante volte anche i non tedeschi hanno desiderato e desiderano,
per rabbia e protesta contro la Storia, di non crescere, di rimanere
puliti e provocatori come i bambini. La protesta di Oskar, nel
romanzo, continuava anche nella Germania del dopoguerra: si fingeva
Oskar in manicomio, adulto, reso deforme simbolicamente da una gobba.
Schlöendorff ha detto che vuol completare il film traducendo l'ultima
parte del romanzo e idealmente aggiornandola. Per lui Oskar, oggi,
oltre la gobba, e la pazzia, potrebbe essere una specie di estremista
liberale, uno ché rifiuta ancora, protestando contro ogni ordine e
contrordine violento. Anche se Grass avvertiva in fondo al libro:
«Non chiedete a Oskar chi è. Egli non ha più parole».
Sul gran fiume di immagini spicca il volto di David Bennent,
eccezionale protagonista dagli occhi azzurri, petulante
tambureggiatore nelle cattive coscienze. |