Something Good
Luca Barbareschi – Italia 2012  - 1h 51'


   Matteo Mercury traffica in cibi adulterati per la distribuzione "in scuole, istituti e prigioni" e la spedizione in quei paesi in via di sviluppo dove la fame supera la preoccupazione per i danni che certi alimenti provocano. Matteo ha venduto l'anima al diavolo e sembra non preoccuparsene affatto, anche perché la sua abilità nel condurre traffici illeciti gli è valsa l'offerta di lavoro che aspettava da sempre: il posto di amministratore delegato per un colosso dell'industria asiatica specializzata nell'immettere sul mercato alimenti tossici a fronte di un largo profitto. Ma l'incontro a Hong Kong con la cinese Xiwen, giovane cuoca che ha fatto del rispetto per la purezza del cibo la propria ragione di vita, cambierà l'esistenza di Mercury, costringendolo a ripensare tutte le sue scelte. E questo avrà un effetto dirompente non solo sulle vite dei due, ma anche su quelle di tutti coloro che li circondano.
Something Good, girato in lingua inglese e cinese, è la terza regia cinematografica di Luca Barbareschi, che del film è anche produttore e interprete: e vi confluiscono molte delle sue caratteristiche, dall'apertura al cinema internazionale alla capacità di circondarsi di professionisti di livello (il direttore della fotografia Arnaldo Catinari, il montatore Walter Fasano e alcuni caratteristi pescati da un pool senza frontiere, come lo scozzese Gary Lewis o il nostro Alessandro Haber), dalla genuina curiosità verso altri mondi e culture che non si ferma allo stereotipo fino alla comprensione da cinefilo dei codici di genere, che Barbareschi mischia con la spregiudicatezza del suo approccio indie. Barbareschi non si inchina a nessuno, ma attinge a piene mani all'estetica del cinema asiatico (vedi l'uso delle superfici riflettenti che deve molto ad autori come Edward Yang, e i riferimenti agli yakuza movie, pur senza l'energia cinetica dei maestri del genere), ma anche al polar francese (soprattutto nella caratterizzazione di Matteo, che rimanda a Daniel Auteil) e al film di denuncia hollywoodiano. Barbareschi mantiene però un saldo controllo autoriale che gli fa scegliere, ad esempio, un giovane sceneggiatore come Francesco Arlanch, televisivo solo nel background professionale, per costruire dialoghi credibili privi di inutili sottolineature e ridondanze e ricchi di pennellate ironiche, che salvano il film dal prendersi troppo sul serio e tolgono all'impianto melodrammatico il rischio di sconfinare nell'autoparodia.

 

Certo, alcune svolte narrative sono poco plausibili, e le scene che hanno a che fare con il complotto industriale, popolate da attori-maschera che sembrano appena usciti dall'ufficio casting di Hollywood, risultano poco efficaci. Ma le scene di azione e quelle d'amore - complice la bravura del Barbareschi attore in un ruolo ritagliato sulla sua fisicità di cinquantenne e sulla duttilità della sua espressione disincantata, nonché quella dell'attrice cinese Zhang Jingchu, bel mix di sensualità e candore - funzionano egregiamente, tenendo alta tanto la tensione narrativa quanto quella erotica. La qualità estetica dell'intera confezione è elevata, e la misura nel mescolare gli ingredienti di un film che fa del cibo una potente metafora è quella del cuoco sapiente che ha tanto assaggiato, e adesso può permettersi di inventare la sua ricetta. Il coraggio produttivo di Barbareschi si combina con la spregiudicatezza narrativa che fanno di Something Good non un capolavoro del cinema mondiale, ma un buon prodotto cinematografico per il grande pubblico, arricchito da una singolare cifra autoriale. Questa volta il salto di fede del regista-produttore, applicato ad un film che fa della fiducia il suo centro narrativo, paga, e generosamente.

Paola Casella - mymovies.it

   I primi 20 minuti ti incollano allo schermo: c’è una vicenda personale con la morte di un bambino molto coinvolgente, la presentazione di un protagonista che ha tutte le carte per essere un malvagio di grande carattere, e un tema di attualità che ci riguarda tutti, ovvero l’alimentazione. Something Good parla, infatti, di sofisticazione alimentare, ovvero quelle frodi in cui vengono sostituiti ingredienti naturali nei prodotti gastronomici con sostanze chimiche per abbassare i costi e aumentare il profitto, senza nessuna salvaguardia per la salute dei consumatori.
Matteo è un operatore al soldo di una multinazionale con sede a Hong Kong, che non si fa scrupoli per scalare le vette di questo business, arrivando a proporre di vendere perfino latte fatto col gesso ai bambini africani. Sulla sua strada si mettono nemici che lo vogliono fare fuori facendo ricadere su di lui un’accusa di triplice omicidio; e sulla sua coscienza si mette Xiwen, ristoratrice che ha perso suo figlio proprio a causa di una frode alimentare, con la quale nasce un sentimento d’amore forte.
 L’equilibrio tra thriller d’inchiesta sulle frodi alimentari, crime thriller e storia di redenzione tiene molto bene nella prima metà del film. Quando via via scivola definitivamente nella crime story convenzionale, lasciando solo in sottofondo il tema ancora vergine (almeno cinematograficamente) del “food business“,
Something Good perde l’occasione di puntare a essere un sofisticato thriller sulle questioni morali e politiche che ruotano attorno all’industria alimentare, e un po’ di freschezza. Anche perché il pubblico è ormai abituato a cattivi talmente estremi da cui farsi stregare (pensiamo anche solo al televisivo Walt White di Breaking Bad) che per catturare la sua attenzione con una trama gialla tutto sommato lineare c’è bisogno di spingere l’acceleratore ben oltre le morti provocate indirettamente da cibo alterato. Luca Barbareschi produce, scrive, dirige e interpreta, dimostrando di essere un talento unico nel panorama italiano e uno dei pochi in grado di confezionare un buon film di genere che guarda oltre i nostri confini.

Luca Maragno - bestmovies.it

   

«...Io non mi ritengo un autore ma un regista e credo nel film di genere. Per questo anche affrontando un tema importante come quello della sofisticazione alimentare non ho voluto fare un film denuncia". [...] "Mi piaceva anche l’idea di raccontare la storia di un uomo che si prende la responsabilità per i suoi errori.. Oggi tutti i criminali portano avanti giustificazioni, Mi piace l’idea di qualcuno che abbia il coraggio di dire “ho sbagliato”, perché tutti siamo esseri umani e tutti facciamo errori. Quest’uomo all’inizio è uno che sta andando verso il suicidio, si rende conto di voler finire la sua vita. Poi incontri l’amore e hai una chance ma non puoi più mentire».

intervista a Luca Barbareschi

promo

In un piccolo villaggio cinese dello Yunnan, una giovane donna di nome Xiwen vede morire avvelenato da un alimento adulterato il piccolo figlio Shitou. Dall'altra parte del mondo, in Italia, Matteo lavora invece per conto della Feng, una multinazionale con sede a Hong Kong che traffica cibo contraffatto. Per evitare l'arresto, Matteo scappa dall'Italia, salvando un prezioso carico di alimenti della Feng, e ciò dà avvio alla sua scalata senza scrupoli verso il successo. Nel momento in cui vive il massimo prestigio all'interno della Feng, Matteo incontra per caso Xiwen, che ha aperto un ristorante in memoria del figlio e si batte per l'autenticità degli alimenti. Nessuno dei due immagina che da quel momento le loro vite saranno sconvolte...
Liberamente ispirato al romanzo
Mi fido di te di Massimo Carlotto e Francesco Abate, il lavoro di Barbareschi regista-attore-produttore ha un inizio di forte impatto ed uno svolgimento che pur con qualche parentesi poco plausibile (talvolta di scarsa efficacia) sa mischiare con spregiudicatezza l'estetica del cinema asiatico, la tensione del polar francese e il taglio di denuncia hollywoodiano. Così le scene d'azione ben si alternano quelle sentimentali, e la tensione erotico-narrativa rimane alta: un buon film di genere che guarda oltre i ristretti confini della commercialità italiana.

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 LUX - novembre 2013

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