Soffocare
(Choke)
Clark Gregg
– USA
2008
- 1h 29'
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Molto
divertente, tra la black comedy e Cechov, con attori magnifici.
Protagonista l'erotomane Sam Rockwell che vuole tutte le donne (anche
denudandosi in un gabinetto pubblico e aspettandole) e pensa sempre a
quello. Non sa chi sia suo padre. Sua madre Anjelica Huston, una
rivoluzionaria divenuta folle e incapace di riconoscerlo, sta in una buona
clinica privata: per pagarle i conti il figlio nei ristoranti finge di
soffocare, e chiede soldi a chi lo aiuta. Non che non lavori: fa la
comparsa in un parco a tema sull'America coloniale, ma guadagna poco.
Soffocare è una satira della lussuria incontrollata, dei traumi
d'infanzia, dell'identità mutilata: ma è commovente l'amore del figlio per
la madre severa che non sa chi egli sia e lo tratta malissimo, mentre le
altre dementi della clinica cercano di sedurlo o lo accusano delle
peggiori infamie. Tratto dal romanzo di Chuck Palahniuk (Mondadori) il
film è stato un po' ammorbidito ma resta originalissimo e sarcastico,
anche nelle scene in cui il protagonista frequenta un incontro collettivo
di salute mentale per curare la propria sessuomania (e finisce col fare
sesso nel gabinetto del luogo di riunione). Non guarisce: per lui come per
tanti altri, l'ossessione rappresenta il desiderio senza limiti del
l'America contemporanea.
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Lietta Tornabuoni -
La Stampa |
Sembra
incredibile che dai tempi di
Fight Club,
1999, il cinema si sia dimenticato del prolifico Chuck Palahniuk. Ma forse
non c’è niente di strano, anzi è giusto così. Perché il mondo allucinato e
paradossale dello scrittore che ispirò a Fincher il suo miglior film,
nonché il più incompreso, non “passa” così facilmente dalla pagina allo
schermo.
Vedere per credere questo
Soffocare, prima regia dell’attore Gregg Clark,
che firma anche l’adattamento. Il libro di Palahniuk (Mondadori) offre
tutto ciò che un regista può desiderare. Situazioni forti, personaggi
stravaganti, dialoghi irresistibili, un sottotesto drammatico che dà
coerenza e profondità a un mondo meno deviante di quanto sembri.
Il protagonista Victor Mancini (l’eternamente stralunato Sam Rockwell) è
un sex-addicted che tenta di superare la sua dipendenza frequentando le
riunioni di una specie di “alcolisti anonimi” del sesso, ma in realtà è in
cerca della propria identità. Impresa ardua, inutile dirlo. Quando non è
impegnato in veloci e spesso esilaranti incontri erotici, il malinconico
Victor si occupa infatti di sua madre (una regale Anjelica Huston), che
giace afflitta da demenza senile nel letto di una costosa clinica privata
e scambia ogni volta il figlio per una persona diversa.
Non bastasse questo carosello di identità provvisorie, Victor lavora come
“figurante storico” in un Parco a tema del ’700. E quando non indossa
costumi e parrucche da pioniere, litigando coi superiori in linguaggio
arcaico perché il Parco esige totale fedeltà all’ambientazione, arrotonda
le magre entrate fingendo crisi di soffocamento da cibo per farsi
soccorrere e in qualche modo adottare da ignari commensali al ristorante.
Ennesimo tentativo di compensare i ripetuti abbandoni subiti nell’infanzia
da parte di sua madre, che lo lasciava continuamente a genitrici
affidatarie, salvo poi rapirlo con stratagemmi stravaganti (forse la cosa
migliore del film, anche grazie a una Huston che ricorda, in chiave molto
più leggera, il suo personaggio di madre abusiva nel magnifico
Rischiose
abitudini di Stephen Frears). Tutto questo però nel film anziché formare
un quadro complesso e allarmante dà luogo a una serie di vignette
singolarmente anche divertenti, e qua e là nemmeno troppo superficiali, ma
slegate e ridondanti. Come se in fondo il neoregista (che appare come
superiore nel Parco a tema) suonasse sempre la stessa nota. Cogliendo del
libro solo gli spunti da commedia, senza mai azzardare coloriture
drammatiche, nemmeno in chiave grottesca. Torna in mente un filmetto
passato troppo velocemente nei festival qualche anno fa:
I Am a Sex Addict,
dell’irano-americano Caveh Zahedi. Un “io sono un autarchico” del sesso
coatto, candido e sfacciato fino alla patologia, che strozzava ogni volta
la risata in gola. Ma forse queste sono libertà che solo il vero cinema
indipendente può permettersi. |
Fabio Ferzetti –
Il
Messaggero |
promo |
Victor è un
sex-addicted che tenta di superare la sua dipendenza frequentando
le riunioni di una specie di “alcolisti anonimi” del sesso, ma in
realtà è in cerca della propria identità, scompensata in gioventù
da una madre affettivamente "discontinua" e che ora è afflitta da
demenza senile... Partendo da un romanzo di Chuck Palahniu (gia
autore di
Fight Club) l'esordinete Clark
Gregg punta sulla commedia, tralasciando gli aspetti drammatici e
grotteschi. Ne esce un film che sa divertire, in un'originale
commistione di Cechov e black comedy. Per il protagonista non c'è
da aspettarsi una guarigione: per lui come per tanti altri,
l'ossessione rappresenta il desiderio senza limiti dell'America
contemporanea. |
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LUX
- giugno 2009
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