Il
sequel come tappa forzata del genere ("Non uccidermi. Voglio
tornare nel sequel", implorava l’assassino nel finale di
Scream), ma anche come occasione di
riflessione su meccanismi di esibizionismo e ipocrisia che fanno da
cornice all'esaltazione "comunicativa" dei media, all'informazione-spettacolo,
poco importa se
macabra e truculenta. L'incipit di
Scream 2 è un'orgia di suggestioni mortali, un
gioco al massacro in cui finzione e realtà si accavallano nell'isteria
della "rito" cinematografico di massa. In quella sala dove
i fan dell'horror (film) vengono all'improvviso coinvolti nella sconvolgente
brutalità di una (reale) violenza affine, le maschere del "male"
(che rimandano all'Urlo di Munch) acquistano la valenza di un
coro da tragedia greca (che poi Craven espliciterà nella rappresentazione
teatrale della scuola), ma l'incubo di una serata cinematografica segnata
dal sangue si scrolla presto di dosso le riflessioni metalinguistiche
per entrare nel vivo di un nuovo angosciante horror-movie. E se il fascino
sottile del sequel mostra alla distanza la corda (i rimandi si stiracchiano
e le soluzioni narrative debordano smaccatamente), il risultato cinefilo
resta raffinato e avvincente. D'altronde, come ricorda uno dei malcapitati
protagonisti: "in un sequel il numero dei morti aumenta, le
scene del delitto sono più elaborate…"
ezio leoni
-
the MOVIE connection - ottobre
1998
|