Il
fenomeno
Scream non è solo un
evento commerciale, è anche la dimostrazione di come un film di genere
(persino "basso" come l’horror ) possa emergere dallo standard,
rivitalizzandosi grazie all'intrinseca qualità della composizione
(sceneggiatura e regia).
In
Scream Wes Craven esalta la suspense ammiccando ai cliché del
cinema stesso, citando classici seriali dell’horror (Venerdì
13,
Hallooween, il suo
Nightmare), tamponando i rigurgiti
splatter della violenza con frenetici capovolgimenti di fronte,
minando le sicurezze (e le esistenze) dei protagonisti e tenendo di
continuo sulla corda l’attenzione (e l’angoscia) dello spettatore. Mentre
il veicolo narrativo gronda sangue, l’esposizione filmica di
Scream brilla per la
vitalità contraddittoria di ogni situazione e il calibrato dosaggio dei
ritmi della tensione.
E se Scream 2,
tappa sequenziale "obbligata" ("Non uccidermi. Voglio tornare nel
sequel", implorava l’assassino nel finale del primo film), non ha la
stessa, compiuta struttura diegetica, riesce in ogni caso a
ricontestualizzare, attraverso l'espediente del thriller,
l'ipocrisia e il cinismo di una società ipertelevisiva, votata ad un greve
esibizionismo ed a macabre spettacolarizzazioni. L'incipit di
Scream 2 è un'orgia di suggestioni mortali, un gioco al massacro
in cui finzione e realtà si accavallano nell'isteria del "rito"
cinematografico di massa. Il pulsare dell'horror-movie raggiunge il
parossismo. |