Racconti dell'età dell'oro
(Amintiri din Epoca de Aur)
Hanno Höfer, Cristian Mungiu, Constantin Popescu, Ioana Uricaru, Razvan
Marculescu
- Romania/Francia
2009
- 1h 40' |
Quattro
racconti comico-grotteschi per ricordare un paese che non c’è più. Quattro
"leggende metropolitane" nate nella Romania di Ceausescu e trasformate in
film a episodi da un pugno di bravissimi registi esordienti ma non così
giovani da non avere ricordi diretti di quell’epoca. Affiancati e
coordinati da Cristian Mungiu, l’autore del geniale
Quattro mesi, tre settimane, due giorni (palma d’oro a Cannes). Un
film così cupo e drammatico che Mungiu, dopo, ha avuto voglia di fare
qualcosa di completamente diverso "nello spirito del cinema popolare
italiano anni 60-70". L’episodio più comico di Racconti dell’età dell’oro
è quello in cui un poliziotto e la sua famiglia devono trovare il modo di
macellare un maiale in casa se vogliono festeggiare il Natale malgrado le
restrizioni alimentari imposte dal regime, senza farsi notare dai vicini e
possibilmente senza lasciarci le penne. Il più malinconico quello che vede
un camionista addetto al trasporto di polli mettersi in affari pericolosi
per compiacere una bella locandiera. C’è anche un episodio che viene
dall’Ispettore generale di Gogol (un personaggio, non a caso, si chiama
Gogu). Ma la realtà supera sempre la fantasia, figuriamoci cosa poteva
succedere sotto il tiranno più surreale dell’Europa socialista quando un
burocrate arrivava in un villaggio e ordinava di dipingere di bianco i
piccioni per farne colombe e di liberare pecore per le strade, non mucche,
perché fra gli ospiti della delegazione in arrivo c’erano anche indiani.
Ma il "racconto" più archeologico e insieme più attuale è quello in cui
due malcapitati fotografi del quotidiano di partito "Scinteia" fanno i
salti mortali per rimettere il cappello in testa a Ceausescu in una foto
in cui il dittatore appare troppo basso accanto allo svettante presidente
francese Giscard d’Estaing, e ha perfino l’aria di essersi scoperto il
capo in omaggio all’ospite capitalista. Una farsa a colpi di forbici e
raschietto che può suonare inverosimile in epoca di immagini digitali e
photoshop, ma che al di là delle differenze tecniche mostra nella sua più
grottesca evidenza il volto sempre attuale della censura. Travasando in
tutti i dettagli, i gesti, le facce, le corsette, gli sguardi, gli
occhiali pesanti, le assurde cravatte, le borse sotto gli occhi degli
ottusi, zelanti, ignorantissimi burocrati, un’esattezza, una corposità,
una concretezza fisica da applauso. |
Fabio Ferzetti –
Il
Messaggero |
Regista
di punta della "nouvelle vague" romena, Cristian Mungiu torna con un film
di tono molto diverso da quello (4 mesi 2 settimane
3 giorni) che gli fece conquistare la Palma d' oro a Cannes: un
tono surreale, grottesco, amaramente comico. Fin dal titolo, che si
riferisce agli ultimi anni della dittatura di Ceausescu, periodo orrendo
ma denominato "età dell' oro" dalla propaganda ufficiale. Il film
raccoglie quattro diversi racconti, tutti ispirati ad altrettante
"leggende metropolitane" del periodo e tutti scritti da Mungiu, che ne ha
affidato la direzione a quattro colleghi. "La leggenda della visita
ufficiale" riguarda il maquillage cui il villaggio di Vizuresti è
sottoposto in previsione di una visita di funzionari politici, evento che
non si verificherà mai. "La leggenda del fotografo di partito"
gioca sull' incontro tra Ceausescu e il presidente francese Giscard d'
Estaing e ci informa che la censura sulla stampa può esercitarsi
attraverso una foto anche "per colpa" di un cappello. Nella "Leggenda
del camionista di pollame" si scopre quanto chi trasporta merci
commestibili possa, all' improvviso, diventare sexy agli occhi di una
bella locandiera. L' ultimo episodio è "La leggenda del poliziotto
ingordo", dove apprendiamo le tecniche su come fare la festa a un
maiale senza insospettire i vicini. In un modo o nell' altro, tutti i
"corti" sono variazioni sull'eterno tema popolare della fame e dei
tentativi di soddisfarla. Mongiu racconta che, dopo
4 mesi 3 settimane 2 giorni, qualcuno lo etichettò come il tipico
regista da festival. Fama che ha voluto smentire ispirandosi alle
atmosfere dei film italiani degli anni 60 e 70, spesso caustici ma anche
"diretti" e divertenti. |
Roberto Nepoti - La
Repubblica |