da Film Tv (Mauro Gervasini) |
Per
amore di Vitt, Sonia asseconda la sua patologia e tenta di dimagrire
all'infinito, fino all'anoressia. Tutto questo accade a Vicenza, nel Nord
Est asserragliato dietro porte blindate e culto del lavoro. Vitt è un
artigiano come "l'imbalsamatore" Peppino: ma quest'ultimo aggiungeva
(paglia, cera, sostanze chimiche) mentre il primo, orafo, sottrae: strati
di metallo dai monili, carne e pelle dallo spirito, o meglio dalla
"testa".
Primo amore di Matteo Garrone
è il viaggio allucinante
nell'oscurità di un rapporto malato, dove i ruoli di vittima (Sonia) e
carnefice (Vitt) sembrano chiari e dove ad affascinare di più sono
l'ambiguità di una passione, il mistero di una simbiosi, le contorsioni di
due psicologie che non si arrendono alla normalità, e che forse del nostro
mondo "antropocentrico" (perché il corpo e la soddisfazione dei suoi
bisogni sono alla base del concetto di consumo) sono entrambi schiave
infelici. ll film è più cerebrale e meno bello del precedente
L'imbalsamatore, tuttavia è uno di
quei testi densi e dolorosi, quindi estremamente "vivi", necessari alle
nostre ormai asfittiche visioni. L'attrice Michela Cescon è dimagrita di
15 chili durante le riprese, il protagonista-scrittore Vitaliano Trevisan
è una presenza che inquieta e incide. |
da La Stampa (Alessandra Levantesi) |
L’imbalsamatore, che conquistando svariati premi ha affermato il talento di Matteo Garrone, prendeva avvio in un’invernale paesaggio napoletano e si concludeva tragicamente nella Padania, dove il trentacinquenne regista romano ha ora ambientato il suo quinto lungometraggio. Unica pellicola italiana in concorso al FilmFest, si intitola Primo amore e di nuovo racconta un rapporto morboso che nasce quasi per caso e diventa fatale come una malattia. Anche stavolta il protagonista è un artigiano. Orafo per tradizione di famiglia, Vittorio ha appreso dal padre la tecnica di estrarre schegge del prezioso metallo da pesanti materiali di nessun pregio; e, forse per analogia, ha maturato la convinzione che il corpo per rivelare il suo intrinseco valore debba liberarsi dell’involucro di carne e divenire il più essenziale possibile. In parole povere, per Vittorio la donna deve essere magra, anzi magrissima. Così quando scopre di sentirsi attratto da Sonia, una ragazza dolce, allegra e di peso normale che arrotonda lo stipendio di commessa facendo la modella all’Accademia di Belle Arti, le chiede di dimagrire perché possa corrispondere al suo ideale femminile. Lei accetta. Per amore? Per comune pazzia? Perché le piace l’idea di costruire un’altra sé stessa? E qual è il rovello segreto di Vittorio, che è in cura da uno psichiatra? Sceneggiato da Garrone con Massimo Gaudioso e Vitaliano Trevisan sulla base di un fatto di cronaca, il film sceglie la via antipsicologica e non dà spiegazioni. Siamo a Vicenza, nell’operoso Nord-Est del miracolo economico, ma anche dell’Unabomber e dell’acqua minerale sabotata. Cineasta per cui i luoghi e le atmosfere hanno un ruolo protagonista, Garrone sa come far scattare nella tranquilla quotidianità della cittadina veneta il segnale d’allarme di una sotterranea patologia. Ambiguo e reticente, Vittorio vive e lavora in una specie di bunker protetto da massicce inferriate che lo fanno assomigliare ad un carcere; e la villetta dove i due amanti si trasferiscono è isolata nel bosco e sembra un’abitazione da favola nera, di quelle in cui una persona sensata si guarderebbe bene dall’entrare. Man mano che il tempo passa la tortura psicologica e fisica di vedersi negare il cibo diventa per Sonia insopportabile, mentre Vittorio accanito nel suo demenziale proposito di vederla ridotta a 40 chili perde ogni contatto con il resto del mondo. Stilizzato e inquadrato con occhio da pittore, Primo amore scivola verso l’ineluttabile finale in un crescendo d’immagini di indubbia suggestione. Michela Cescon, attrice di teatro diplomata allo Stabile di Torino, impersona con naturalistica spontaneità la remissiva Sonia, una parte che l’ha costretta davvero a dimagrire; e Trevisan, che nella vita di professione fa lo scrittore, è inquietante nel modo giusto. Tuttavia, manca al film una chiave di accesso emotivo: e alla fine la sensazione è che il regista utilizzi questa storia allucinata e sgradevole più per un puro esercizio formale che per mettere in gioco sé stesso e le proprie ossessioni. |
TORRESINO - aprile 2004