Il paziente inglese
(The
English Patient) |
Qual è il fascino miliardario e prodigo di oscar de Il paziente inglese? Risposta facile. La saturazione. La sontuosa trasposizione di Anthony Minghella (dal romanzone omonimo di Michael Ondaatje) opera saturazioni continue: dei colori (l'azzurro del cielo, le cromie dorate del deserto), dei personaggi (l'infermiera Hana che sembra accentrare su di sé ogni disgrazia, il "paziente" protagonista, col suo volto orrendamente deturpato dalle fiamme), dei sentimenti (l'amore appassionato e lacerante di Katharine e Laszlo, quello intenso e sereno di Hana e Kip), del racconto, costruito con sapiente e sfacciato manierismo. Fin dalle prime immagini un pennello dipinge dei tratti che hanno l'ambiguità di un corpo stilizzato (scopriremo solo più avanti il nesso coi graffiti della Caverna), quindi un aereo in volo si staglia su un paesaggio desertico le cui dune, ombreggiate dal riverbero del sole, delineano forme di abbacinante sinuosità. Il flusso della narrazione subito si spezza perché di sequenza in sequenza, per tutti i 160', Il paziente inglese è un continuo alternarsi di storie parallele e di flash-back ridondanti. Sì, perché se la suggestione romantico-onirica è indiscussa, va evidenziato come il gioco sottile dei temi svelati e sottintesi alla lunga mostri la corda. E se il sex-appeal sbarazzino di Juliette Binoche (Hana) controbilancia con tocco leggero l'altera passionalità di Kristin Scott Thomas (Katharine) e Ralph Fiennes (Laszlo de Almasy), il sudario esistenziale del protagonista (coinvolto in un incidente aereo nel Nord-Africa e misteriosamente giunto nell'entroterra toscano) non sa prendere posizione nel tormentone del racconto. Troppo artefatto nel crescendo disvelatore, Il paziente di Minghella lascia intuire tensioni narrative che si sfaldano nella banalità (l'inconsistente caratterizzazione psicologica del gruppo dei cartografi) o si estremizzano con macabra protervia (la sadica tortura subita da Caravaggio) e arriva all'intensità dell'epilogo con l'intento più di stupire (e commuovere) che di sublimare un'esperienza romantica, soggiogata dall'alterità del paesaggio e deturpata dall'obbrobrio della guerra. Certo la regia sa cadenzare i momenti di tensione (l'amputazione, il disinnesco della bomba, la fuga dal treno), ha un gusto coreografico che riempie lo schermo (la scena della pioggia, Laszlo che trasporta il corpo di Katharine) e restano soavemente negli occhi la corsa disperata di Hana, il percorso dei lumini che la conduce tra le braccia di Kip, la scoperta degli affreschi nella chiesa. Ma come quel volume di Erodoto che stigmatizza l'evolversi della vicenda, anche Il paziente inglese è troppo pieno di appunti, immagini, dediche che mentre impreziosiscono il racconto ne sviliscono lo spirito. Parafrasando le parole di Laszlo de Almasy ("se si potesse esplorare dall'alto la vita sarebbe molto semplice...") il lavoro di Minghella guarda dall'alto, sovrasta i suoi personaggi ma perde contatto con la loro umanità. Il paziente inglese è il trionfo dell'estetica del melò, l'etica profonda l'ha barattata per nove dorate statuette. |
ezio leoni - La Difesa del Popolo 3 marzo 1997 |
12 NOMINATION - 9 OSCAR
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