Fino
a non troppo tempo fa, ogni discussione o testo critico dedicati alla
figura di James Franco richiedevano un'introduzione del personaggio
che ne inquadrasse la carriera e il percorso artistico. Oggi invece il
curriculum del giovane attore è quasi impossibile da riassumere: con
il cinema, che lo vede indistintamente star e comparsa tra
blockbusters e produzioni indie, ma anche regista e autore, e tra
incursioni nell'arte e nella musica a delineare un portfolio selfie e
ipertrofico che l'hanno reso un nome sulla bocca di tutti. Ça va sans
dire all'ultima Mostra del Cinema di Venezia era doppiamente
protagonista, dietro la macchina da presa dell'ottimo
Child of God, e
come autore dei racconti (oltre che come interprete di un piccolo
ruolo) che hanno ispirato l'esordio alla regia di Gia Coppola,
Palo Alto.
Si tratterebbe di un convenzionale romanzo di formazione, sia nei temi
che nella scrittura, facilmente liquidabile con una smorfia di
disinteresse se non fosse che la Generazione X a cui si dedica è un
terreno creativo ancora evidentemente fecondo, se non fondamentale per
analizzare la società moderna. Si parla ancora degli adolescenti della
provincia americana, di festini, alcool e marijuana, di un'età che non
concepisce limiti e una contemporaneità che è tesa e malinconica al
tempo stesso. Un humus sfaccettato e complesso che non a caso ha
ispirato alcune delle migliori pellicole della passata stagione, dal
capolavoro iconico di Harmony Korine Spring Breakers, a
Bling Ring di Sofia Coppola e
The Canyons di Paul
Schrader; opere che hanno saputo, con mezzi e ispirazioni
diversissimi, decostruire e frantumare lo scintillio esteriore e la
forma perfetta con cui l'oggi si protegge, e svelarne l'estrema
fragilità. |
Valentina Torresan - dicembre 2013 - pubblicato su MCmagazine 35 |