Palo Alto
Gia Coppola
- USA 2013 - 1h 38'

Venezia 70- Orizzonti


 

   Fino a non troppo tempo fa, ogni discussione o testo critico dedicati alla figura di James Franco richiedevano un'introduzione del personaggio che ne inquadrasse la carriera e il percorso artistico. Oggi invece il curriculum del giovane attore è quasi impossibile da riassumere: con il cinema, che lo vede indistintamente star e comparsa tra blockbusters e produzioni indie, ma anche regista e autore, e tra incursioni nell'arte e nella musica a delineare un portfolio selfie e ipertrofico che l'hanno reso un nome sulla bocca di tutti. Ça va sans dire all'ultima Mostra del Cinema di Venezia era doppiamente protagonista, dietro la macchina da presa dell'ottimo Child of God, e come autore dei racconti (oltre che come interprete di un piccolo ruolo) che hanno ispirato l'esordio alla regia di Gia Coppola, Palo Alto. Si tratterebbe di un convenzionale romanzo di formazione, sia nei temi che nella scrittura, facilmente liquidabile con una smorfia di disinteresse se non fosse che la Generazione X a cui si dedica è un terreno creativo ancora evidentemente fecondo, se non fondamentale per analizzare la società moderna. Si parla ancora degli adolescenti della provincia americana, di festini, alcool e marijuana, di un'età che non concepisce limiti e una contemporaneità che è tesa e malinconica al tempo stesso. Un humus sfaccettato e complesso che non a caso ha ispirato alcune delle migliori pellicole della passata stagione, dal capolavoro iconico di Harmony Korine Spring Breakers, a Bling Ring di Sofia Coppola e The Canyons di Paul Schrader; opere che hanno saputo, con mezzi e ispirazioni diversissimi, decostruire e frantumare lo scintillio esteriore e la forma perfetta con cui l'oggi si protegge, e svelarne l'estrema fragilità.
Ma se nelle tematiche
Palo Alto risulta ancora (“positivamente”) investito dal narcisismo e il nichilismo della cultura postmoderna (elevato anche concettualmente dalla onnipresenza di Franco), è nella tecnica che il film mostra il fianco. Purtroppo Gia Coppola non ha ancora la profondità di sguardo di altri membri della sua famiglia, così la “nipote d'arte” si aggrappa a uno stile consolidato e grammaticale, volto per lo più a cristallizzar il presente, privo di spiragli di novità. Non va però negato che il meccanismo funziona sempre. In letteratura come al cinema il postmodernismo si concede di essere ancora capace di intercettare le coordinate dei malesseri contemporanei, nonostante spesso – come in questo film – si fermi tutto in superficie sia nei temi che nell'estetica; riesce comunque nell'intento di solleticare nervi scoperti che a un certo punto smettono di avere confini, sia geografici che generazionali.

Valentina Torresan - dicembre 2013 - pubblicato su MCmagazine 35