Oltre le colline
(Dupa dealuri)
Cristian Mungiu
-
Romania/Francia/Belgio
2012
- 2h 35' |
|
miglior interpretazione femminile
(CRISTINA FLUTUR E COSMINA STRATAN)
miglior sceneggiatura |
L'esorcista
nella Romania del dopo-Ceausescu. Lo slogan è grossolano ma rende l'idea.
Un film tratto «da una storia vera» (formula passepartout ormai
inservibile) accaduta nel 2005, ma più vicino al rigore di Dreyer
che alle facilonerie dei film-cronaca. E capace di fornire un'esperienza
interiore sconvolgente, che va molto oltre la storia narrata. È
Oltre
le colline
di Cristian Mungiu (palma d'oro 2007 con
4 mesi,
3 settimane, 2 giorni),
premiato a Cannes per le sue due giovanissime e straordinarie attrici.
Insinuante come una parabola filosofica, ma anche incalzante e crudele
come un thriller, il film di Mungiu oppone le giovani orfane Alina e
Voichita, amiche e forse amanti, in uno sperduto monastero ortodosso ai
confini con la Moldavia. (...) In un affannoso crescendo di scabra
fisicità e implacabile smalto visivo che accoglie poco a poco anche il
mondo esterno, l'ospedale, la polizia, le miserie della regione, la neve
che cade copiosa su questa tragedia senza un colpevole ma con molti
complici. Un film esigente, quanto generoso, per spettatori esigenti. |
Fabio Ferzetti - Il
Messaggero |
...Qui
l'accento sembra spostarsi su una «condizione umana» non più semplicemente
«locale», ma nella quale si declina un generale sentimento precario del
nostro tempo. Così l'ossessione d'amore iniziale scompare nella
messinscena del conflitto tra individuo e società, tra desiderio del
singolo e oppressione di un mondo esterno, tra assunzione di
responsabilità e delega a un sistema della propria esistenza. Non siamo
più negli anni del regime come in
4 mesi...
e però non è difficile leggere nel Padre e nella Madre che «amorevolmente»
controllano la vita della comunità, il riferimento a Ceausescu e a sua
moglie, e a una Romania che dopo tanti anni dalla fine della dittatura non
è ancora riuscita a elaborare uno stato sociale condiviso, se non nella
fragilità che spinge alla ricerca di nuovi mondi organizzati. Un po' come
Voichita che passa da un'istituzione totale, l'orfanotrofio, a un'altra,
la comunità religiosa, opponendo così all'insicurezza del mondo un sistema
autoimmune di certezze (di recente in Romania le comunità religiose come
quella del film si sono moltiplicate)… |
Cristina Piccino -
Il Manifesto |
Con
questa pellicola spiazza un altro po', perché come nel celebrato
capolavoro (4
mesi, 3 settimane, 2 giorni)
sceglie di nuovo due donne come protagoniste (e azzecca le attrici,
perfette) e come in quel caso va contro dogmi ben radicati per demolirli,
o meglio ancora scoperchiarli. Ma questo, pur essendo un Mungiu coerente
con il proprio lavoro, è anche un cineasta più dolce nel racconto, sa
trovare, nelle immagini e nelle parole, la lucidità al limite del cinismo
ma anche una tenerezza che prima sembrava tenere dentro.
Ed è cosi che un racconto complesso, fatto di un'amicizia potentissima che
può sfidare il tempo e il dolore regge per ben 155 minuti. E in questo
potente legame si innesta la critica alla religione, all'ottusità del
potere esercitato come un abuso, all'ingiustizia della vita. L'amicizia,
l'amore forse invincibile che lega Alina (Cristina Flutur) e Voichita
(Cosmina Stratan) è un sentimento enorme che si fa ruvido e sofferente,
Mungiu gli regala una quotidianità che è tortura, un'epicità intimista. La
scelta di Alina che torna nell'orfanotrofio in cui è cresciuta per tenere
fede alla promessa di espatriare con l'amica di sempre, il suo prendere i
voti perché quest'ultima l'ha fatto e non vuole più partire, ha in sé una
carica di struggente emotività. E anche l'amore negato di una donna che ha
messo un velo non solo fisicamente, ma tra se e il mondo, bussa prepotente
al cuore dello spettatore. E tutto ha lo stile rigoroso e privo di
retorica di questo regista rumeno. Uno che studieremo sui libri di storia
del cinema. |
Boris Sollazzo -
Pubblico |
promo |
Dopo
esser tornata dalla Germania Alina ritrova, in un isolato convento
in Romania, l'amica Voichita, che ama dai tempi in cui si erano
incontrate da bambine in orfanotrofio. Alina vorrebbe convincerla
a seguirla in Germania ma Voichita ha ormai trovato conforto nella
fede e considera le suore e il sacerdote come una famiglia. Nel
tentativo di riconquistare Voichita, Alina entra drammaticamente
in collisione con la comunità religiosa a cui Alina si è ormai
legata. Amore ed esorcismo nella Romania del dopo-Ceausescu… Un
film tratto da una storia vera, ma più vicino al rigore di Dreyer
che alle facilonerie dei film-cronaca. Insinuante come una
parabola filosofica, ma anche incalzante e crudele come un
thriller. Mungiu (4 mesi, 3 settimane, 2 giorni) sa
trovare, nelle immagini e nelle parole, una lucidità al limite del
cinismo ma anche una tenerezza che bussa prepotente al cuore dello
spettatore. |
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