Spesso
dietro ogni film c’è una grande produzione e una distribuzione altrettanto
grande, spesso questo tipo di film viene ben pubblicizzato dai media a
prescindere dalla qualità del prodotto, e spesso il cast, la troupe, i
registi e gli sceneggiatori vengono pagati, anche profumatamente. Ma non è
sempre così. Sul grande schermo a volte sbarcano delle scommesse, dei film
indipendenti che dopo mille peripezie riescono a scavarsi un varco e a
entrare nel dorato mondo del cinema. È così per
Il
nostro Messia,
un film di Claudio Serughetti, che vanta la partecipazione di Tinto Brass,
Rosalinda Celentano, Dolcenera. Si tratta di un lavoro coraggioso,
ambizioso, la realizzazione di un sogno, frutto della passione per il
proprio mestiere, della grinta e dell’impegno che ognuno dei protagonisti
ha messo a disposizione per vincere la sfida di arrivare al cinema con un
prodotto completamente indipendente.
Il
nostro Messia
ha origine nel 2004,
doveva trattarsi di un cortometraggio, ma attraverso un work in progress -
nato da soli 600 euro - si è trasformato prima in un mediometraggio e
successivamente in un lungometraggio, con grande soddisfazione di tutti
coloro che per tre anni hanno lavorato completamente gratis. Tanto che
inizialmente le attrici si truccavano e sceglievano da sole gli abiti di
scena. “Il messaggio più importante che il film vuole comunicare è
l’arte - racconta Rosalinda Celentano - L’unica cosa che non mi è
piaciuta [ride, n.d.r.] è stato il vestito che Claudio mi ha fatto
indossare“. “In Italia è difficile produrre e distribuire un film, noi ci
siamo associati, tutti siamo co-produttori - racconta Gianluca De Maria,
attore e produttore associato - abbiamo creato una distribuzione
indipendente che ci ha permesso di uscire nelle sale con le nostre gambe“.
“Tutti hanno una quota nel film - gli fa eco il regista e
protagonista Claudio Serughetti - finora abbiamo fatto due miracoli,
ossia produrre il film e distribuirlo, ora manca il terzo, quello più
importante: che il film sia visto da più persone possibile. Il film non è
autobiografico, ma molto di più. Tutti quanti vogliamo trovare il “messia”
che ci fa svoltare. Io ho puntato molto sulla locandina, volevo
rappresentare l’attesa: le ragazze esteticamente umiliate sul water
rivolte verso il trono vuoto del loro salvatore“. Tutto, nella
pellicola, ruota intorno a questo aspettare. Nella vita di cinque giovani
attrici entra un regista francese che sta per girare un film. Le ragazze
sono disposte a tutto pur di cogliere al volo la grande occasione della
loro vita. Tutte rincorrono Julien (Claudio Serughetti), alcune entrano
senza sensi di colpa nel letto dell’uomo pur di ottenere un ruolo nel suo
film che - ironia della sorte - non vedrà mai la luce. Cinque donne -
Sarah Maestri, Sarah De Marchi, Maria Rita Cardella, Veronica Barbatano e
Vanessa Scalera - che brillano e sognano per un attimo ma che resteranno
amaramente deluse dal “genocidio culturale” che abbraccia oggi il mondo
del cinema e che non permette loro di volare.
Chicche nel film sono la presenza di Tinto Brass nel ruolo di critico che
spiega i passaggi più contorti del film dandone di volta in volta la
chiave di lettura, Rosalinda Celentano nel ruolo di una produttrice
cinematografica - truccata alla “Arancia Meccanica” - e la cantante
Dolcenera, che il regista ha voluto a tutti i costi nel film dopo averla
sentita cantare a Music Farm: “La sua voce mi ha sconvolto e il suo
volto buca lo schermo“, ha commentato Serughetti.
|
Concretezza
e ironia sono le armi con cui Serughetti sceglie di raccontare i percorsi
accidentati del fare cinema in Italia. Un tema che, sulla scia del cinema
nel cinema - costellata di autori che non hanno bisogno di presentazioni,
come il Truffaut di
Effetto notte
– vede i registi indipendenti italiani apparentemente ripiegarsi su se
stessi, e che in realtà è di per sé evidenza di denuncia e riscatto nel
momento in cui il film stesso riesce ad arrivare in sala - in questo caso,
grazie alla formula contrattuale "The producers", per cui gli artisti
partecipano al film per la quota del loro salario. Un regista a Roma alle
prese con produttori mefistofelici improbabili cinici e aspiranti attrici
sessualmente aggressive: tutti – lui compreso – alla ricerca dell’uomo
della svolta (il messia, appunto) nell’era dei (post)quindici minuti di
celebrità e dell’immagine come oppio dei popoli. Autocritica sottesa e una
costante presa di distanza dalle girandole soffocanti del perseguire i
propri obiettivi sono gli elementi vincenti che allontanano la pellicola
dai voli pindarici e dall’impossibilità di contatto di
La rabbia
(di Louis Nero, sullo stesso tema), mentre l’onestà intellettuale la
avvicina a
Nazareno
di Varo Venturi, nel riemergere multiforme – e qui scopertamente
autobiografico – di Pasolini che sembra animare oggi il cinema
indipendente nel nostro paese. Splendida insensatezza dell’affannarsi
della vita e dello spazio di un giorno nella scena in cui le ragazze si
preparano all’avvento del regista che dovrebbe cambiare le loro sorti,
divertimento ghignante nella metanarrazione affidata al ‘critico
cinematografico’ Tinto Brass. |