Benvenuto
il successo per il cinema italiano. Mentre Il ciclone continua a spopolare
(oltre cinquemila spettatori nello scorso week-end cittadino)
Nirvana arriva a rinsaldare
l'attuale predominio del prodotto Cecchi Gori. Accompagnato da un
battage pubblicitario insinuante, il nuovo film di
Gabriele Salvatores
"naviga"
nella fantascienza con una sorprendente sfrontatezza autoriale, teso
a costruire un mosaico di iper-realtà futuribile che amalgami periferie
multietniche, tecnomonopòli del piacere, sconcerti sentimentali e
virtuali. Tutto premeditato per mettere in fibrillazione l'immaginario
cinematografico: siamo nel 2005, in un non ben definito "agglomerato
del Nord" dove il degrado urbano è iperbolico e un pulviscolo
nevoso avvolge "magicamente" storia e personaggi. Jimi (Christopher
Lambert) è un programmatore di videogame tormentato per un amore perduto,
Solo (Diego Abatantuono) è il protagonista della sua ultimo gioco
(Nirvana), che all'improvviso prende coscienza della propria
vacuità esistenziale. L'alienazione virtuale è un azzardo tematico
accattivante e Salvatores ci si aggrappa con originale progettualità,
ma non con altrettanta fascinazione emozionale. Le forme mitiche del
suo universo postmoderno sanno di già visto o di raffazzonato, l'architettura
d'insieme non riesce ad esplodere nel figurativo (e sotto il kolossal
spunta il bricolage), il grandguignol qua e là gli forza la mano e
la regia s'invischia spesso in schematizzazioni forzose e mediocri.
Se gli interventi di Abatantuono servono a stemperare la verve intellettualistica,
Lambert è ancora una volta un asettico clone recitativo e il personaggio
di Sergio Rubini (Joystick) risulta alla lunga fastidioso. Più vitali
le presenze femminili (Stefania Rocca, Amanda Sandrelli, Emmanuelle
Seigner), ma è evidente in Nirvana la carenza di una suggestione
profonda che riesca a reggere con coerenza l'excursus narrativo, che
sappia percorrere gli spazi critici della contaminazione tra mondo
reale e artificiale senza scivolare nello standard della mediocrità.
Più che effervescente, effimero. Più che virtuale, artefatto.
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