Niente da nascondere (Caché)
Michael Haneke - Italia/Francia/Germania/Austria 2005 - 1h 57'


Miglior regia


sito ufficiale

da Corriere della Sera (Maurizio Porro)

    A Cannes questo ossessivo e magistrale thriller di film precedente in archivio Haneke film successivo in archivio il più perfido talento del cinema europeo, rischiò la Palma e vinse un meritatissimo premio alla regia. È l'incubo di una famiglia borghese-intellettuale che si vede arrivare a domicilio cassette sulla loro vita day by day. Paura. C'è da dipanare un mistero. Sarà possibile? Molte e inevase le domande sulla codardia radical-chic francese, sul rimosso trauma algerino, sui conflitti generazionali, etc. Che ci sia Camus tra gli sceneggiatori occulti? Ma quella che è sconvolgente è la tenuta della tensione morale e materiale, l'inquadrare dubbi & memorie, rancori & rimorsi, ineffabili coppie di tormento. L'austriaco Haneke ne sa più di Freud e col cinema rovista dentro la psiche, un viaggio allucinante ma non solo metaforico, pieno di colpi di scena. Auteuil e la Binoche meritano qualunque premio. Attenzione al finale.

da La Repubblica (Roberto Nepoti)

     Premiato a Cannes per la miglior regia, Niente da nascondere è contemporaneamente un thriller e una riflessione sul potere dell’immagine. Non a caso il protagonista, Georges, conduce un programma in tv. Un giorno cominciano ad arrivargli misteriose cassette: qualcuno spia la sua vita e gliela manda in video, circondata da un crescente alone di minaccia. Conducendo un’indagine in proprio, l’uomo scopre che l’anonimo persecutore è a conoscenza di un episodio poco edificante della sua infanzia, da lui stesso rimosso. A Michael Haneke, però, lo scioglimento del mistero importa assai meno di altre domande: chi guarda chi? c’è differenza tra osservare e essere osservati? Che non si tratti di un giallo, del resto, lo dimostra la noncuranza per il luogo in cui sono piazzate le telecamere-spia, che nella realtà sarebbe facilissimo individuare. Con sadica intelligenza, il regista mischia di continuo i piani di realtà e rappresentazione; stai assistendo a una scena “dal vero” e all’improvviso le immagini accelerano: era una cassetta. Più dialogato di suoi altri film, questo è anche un apologo sul potere della parola. Dove ogni parola ha un suo peso specifico e dove il detto e il non detto scava un solco sempre più profondo tra Georges e sua moglie Anne. Il momento più bello è un dialogo tra il protagonista e la madre; non manca una scena-shock nel più puro stile Haneke, mentre l’epilogo resta aperto, lasciando a ogni spettatore la possibilità — e la responsabilità — di trarre le proprie conclusioni.

da Il Manifesto (Roberto Silvestri)

     George (Daniel Auteil), odioso conduttore tv di un programma letterario, è perseguitato e impaurito da uno sconosciuto che gli recapita videotape misteriosi, con immagini sue, della famiglia, di casa, della moglie Anne (Juliette Binoche), redattrice editoriale, e del figlio Pierrot (Lester Makedonsky), 12 anni, nuotatore provetto ma un po' inquietante. Gli amici non l'aiutano, e nemmeno il capo struttura, mentre arrivano per posta raccapriccianti disegni e, una notte, sparisce Pierrot. Sembra il colmo della tragedia, ma è solo una marachella del piccolo. Però George scopre, con l'aiuto di mamma (Annie Girardot) la pista plausibile: è la vendetta postuma di un algerino, che non fu adottato, per colpa sua, dalla ricca famiglia. Perché, a 6 anni, George cacciò quel fratellastro dalla pelle scura, inventando che volesse assassinarlo, con l'accetta, come una gallina.... E la vera tragedia inizierà quando scopriremo, però, che il videomolestatore non è l'algerino, ma un altro che non sveliamo. Come se, in un giallo, l'assassino fosse il giudice... Travestito da nemesi storica o divina, Michael Haneke, cineasta austriaco in auto-esilio a Parigi, in Caché (Niente da nascondere), lavora sulla paura del presente, che attanaglia l'occidente fin dentro i focolari domestici, visto che la sua agiatezza continua a dipendere dalla rapina intensiva, e professionale, del globo intero. E, più specificamente, fabbrica l'etno-thriller sui sensi di colpa dei francesi rispetto alle passate e presenti atrocità coloniali e alla gestione affaristica del business «immigrazione». Prende dunque di petto la vita e le opere di un borghese senza anima né valori e lo tortura nei soliti modi, voyeuristici e paternalistici, sadici e brutali, opportunisti e moralisti, che fanno l'originalità del suo stile. Se la tv commerciale ci toglie l'anima - si chiede Haneke - quella pubblica non dovrebbe, come il mio film, smascherare il male assoluto?

TORRESINO - dicembre 2005
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