A Cannes
questo ossessivo e magistrale thriller di
Haneke
il più perfido talento
del cinema europeo, rischiò la Palma e vinse un meritatissimo premio alla
regia. È l'incubo di una famiglia borghese-intellettuale che si vede
arrivare a domicilio cassette sulla loro vita day by day. Paura. C'è da
dipanare un mistero. Sarà possibile? Molte e inevase le domande sulla
codardia radical-chic francese, sul rimosso trauma algerino, sui conflitti
generazionali, etc. Che ci sia Camus tra gli sceneggiatori occulti? Ma
quella che è sconvolgente è la tenuta della tensione morale e materiale,
l'inquadrare dubbi & memorie, rancori & rimorsi, ineffabili coppie di
tormento. L'austriaco Haneke ne sa più di Freud e col cinema rovista
dentro la psiche, un viaggio allucinante ma non solo metaforico, pieno di
colpi di scena. Auteuil e la Binoche meritano qualunque premio. Attenzione
al finale. |
Premiato
a Cannes per la miglior regia,
Niente da nascondere è contemporaneamente
un thriller e una riflessione sul potere dell’immagine. Non a caso il
protagonista, Georges, conduce un programma in tv. Un giorno cominciano ad
arrivargli misteriose cassette: qualcuno spia la sua vita e gliela manda
in video, circondata da un crescente alone di minaccia. Conducendo
un’indagine in proprio, l’uomo scopre che l’anonimo persecutore è a
conoscenza di un episodio poco edificante della sua infanzia, da lui
stesso rimosso. A Michael Haneke, però, lo scioglimento del mistero
importa assai meno di altre domande: chi guarda chi? c’è differenza tra
osservare e essere osservati? Che non si tratti di un giallo, del resto,
lo dimostra la noncuranza per il luogo in cui sono piazzate le
telecamere-spia, che nella realtà sarebbe facilissimo individuare. Con
sadica intelligenza, il regista mischia di continuo i piani di realtà e
rappresentazione; stai assistendo a una scena “dal vero” e all’improvviso
le immagini accelerano: era una cassetta. Più dialogato di suoi altri
film, questo è anche un apologo sul potere della parola. Dove ogni parola
ha un suo peso specifico e dove il detto e il non detto scava un solco
sempre più profondo tra Georges e sua moglie Anne. Il momento più bello è
un dialogo tra il protagonista e la madre; non manca una scena-shock nel
più puro stile Haneke, mentre l’epilogo resta aperto, lasciando a ogni
spettatore la possibilità — e la responsabilità — di trarre le proprie
conclusioni. |
George
(Daniel Auteil), odioso conduttore tv di un programma letterario, è
perseguitato e impaurito da uno sconosciuto che gli recapita videotape
misteriosi, con immagini sue, della famiglia, di casa, della moglie Anne (Juliette
Binoche), redattrice editoriale, e del figlio Pierrot (Lester Makedonsky),
12 anni, nuotatore provetto ma un po' inquietante. Gli amici non
l'aiutano, e nemmeno il capo struttura, mentre arrivano per posta
raccapriccianti disegni e, una notte, sparisce Pierrot. Sembra il colmo
della tragedia, ma è solo una marachella del piccolo. Però George scopre,
con l'aiuto di mamma (Annie Girardot) la pista plausibile: è la vendetta
postuma di un algerino, che non fu adottato, per colpa sua, dalla ricca
famiglia. Perché, a 6 anni, George cacciò quel fratellastro dalla pelle
scura, inventando che volesse assassinarlo, con l'accetta, come una
gallina.... E la vera tragedia inizierà quando scopriremo, però, che il
videomolestatore non è l'algerino, ma un altro che non sveliamo. Come se,
in un giallo, l'assassino fosse il giudice... Travestito da nemesi storica
o divina, Michael Haneke, cineasta austriaco in auto-esilio a Parigi, in
Caché (Niente da nascondere), lavora sulla paura del presente, che
attanaglia l'occidente fin dentro i focolari domestici, visto che la sua
agiatezza continua a dipendere dalla rapina intensiva, e professionale,
del globo intero. E, più specificamente, fabbrica l'etno-thriller sui
sensi di colpa dei francesi rispetto alle passate e presenti atrocità
coloniali e alla gestione affaristica del business «immigrazione». Prende
dunque di petto la vita e le opere di un borghese senza anima né valori e
lo tortura nei soliti modi, voyeuristici e paternalistici, sadici e
brutali, opportunisti e moralisti, che fanno l'originalità del suo stile.
Se la tv commerciale ci toglie l'anima - si chiede Haneke - quella
pubblica non dovrebbe, come il mio film, smascherare il male assoluto?
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