...Dietro
Monsieur
Ibrahim e i fiori del Corano
di François Dupeyron c'è un racconto leggero e serio di Eric-Emmanuel
Schmitt
. In un quartiere popolare parigino le cui strade hanno nomi di
favola (Rue Bleu, Rue de Paradis) diventano amici un anziano bottegaio
musulmano adepto al sufismo e nato in Turchia, Monsieur Ibrahim, e un
adolescente ebreo a cui l'essere ebreo non interessa affatto. Il ragazzo
Momo vive solo con il padre in un grande appartamento oscuro. Il padre è
un uomo tetro, depresso, punitivo, la madre se n'è andata, è il ragazzino
a fare la spesa, cucinare, rubacchiare per poter frequentare le cordiali
prostitute del quartiere. Il signor Ibrahim è il droghiere di fronte che
lavora sempre dalle otto a mezzanotte ma senza fretta, senza affanno; un
uomo sereno, spiritoso, lieto, che insegna a Momo tante cose: quant'è
bella Parigi, come sorridere, come portare un paio di belle scarpe, come
vivere. Il padre del ragazzo viene licenziato, se ne va per la vergogna di
non riuscire a trovare un nuovo lavoro, finirà suicida sotto il treno. Il
legame tra il signor Ibrahim e il ragazzo si stringe, diventa
paterno-filiale: il droghiere adotta Momo come figlio, lo accompagna al
bagno turco, gli compra un'automobile rossa che nessuno dei due sa davvero
guidare, lo porta in viaggio sino al proprio Paese, la Turchia, attraverso
un paesaggio arido, mineralizzato, molto bello. E lì, dopo un incidente
d'auto, il signor Ibrahim muore calmo, sorridente: il ragazzo è ormai in
grado di cavarsela da solo. Due nazionalità, due generazioni, due
religioni, due culture, due temperamenti, due modi di vivere si trovano a
confronto: e non c'è dubbio che l'anziano musulmano sia il più vitale, il
più capace in quell'arte di sorridere alla vita racchiusa nei preziosi
fiori del Corano. Il film ottimista evita la melensaggine anche grazie
agli interpreti. Il ragazzo Pierre Boulanger recita con naturalezza e
partecipazione. Omar Sharif, forse il primo attore arabo a venire a suo
tempo considerato bello dal cinema occidentale, ha una voce magnifica, uno
sguardo brillante e dolce, un magnetismo radioso, ed è certo più bravo di
quanto sia stato ne
Il dottor Zivago
o in Lawrence d'Arabia.
Monsieur Ibrahim e i fiori del Corano non è un gran film come
François Dupeyron non è un gran regista, ma ha grazia divertente, serietà
impegnata, una generosa allegria poco frequente. |
«Sorridere
rende felici».
«II
segreto della felicità é la lentezza». «Ciò che dai é tuo per
sempre, ciò che tieni é perduto per sempre». Sono alcune delle perle
di saggezza che il droghiere musulmano Ibrahim (un 0mar Sharif che trova
dalle prime scene il sottotono giusto) dispensa tra una scatoletta di
ravioli e un beaujolais del suo negozio a Moise, soprannominato Momo, in
una strada parigina d'altri tempi. Momo é un sedicenne sveglio e solitario
che guarda dalla finestra la vita della via-acquerello, una strada
pittoresca e molto stereotipata che si impone come set, come geografia del
ricordo e della convenzione di certo cinema francese. Il giovane
protagonista é innamorato delle prostitute affettuose e materne e della
figlia della portiera e vive, dopo l'abbandono della madre, con il padre
arcigno e oppresso da problemi intestinali, occupandosi della spesa, della
casa e della cucina. L'amicizia con il vecchio "arabo" segna il passaggio
alla maturità di Momo. Dopo l'adozione, i due partiranno con uno spider
verso il paese natale del saggio droghiere, tra l'Anatolia e la Persia.
Garbato, molto prevedibile, non noioso, scritto e diretto in modo piano,
il film convince più nella descrizione dell'incontro tra il ragazzo e il
vecchio e nello scrutarsi, tollerante, tra i due mondi. Il viaggio
automobilistico verso le radici non ha alcuna originalità e sembra "finto"
come la Parigi della "vie" quasi rosa. |