È
significativo che almeno uno (se non entrambi) gli sceneggiatori di
La mia classe,
Gino Clemente e Claudia Russo, abbiano alle spalle un'esperienza di
insegnamento. Perché il bello del film di Daniele Gaglianone
è che prova a introdurre lo spettatore dentro il microcosmo multirazziale
di una scuola di italiano per immigrati nel modo più autentico possibile.
Senza filtri o tirate sociologiche, affidandosi un poco al copione, un
poco lasciando spazio alle intrusioni del reale, come quando il mancato
rinnovo del permesso di soggiorno a uno degli studenti crea problemi
morali e legali mettendo a rischio le riprese. Ne risulta un'opera in
bilico fra documentario e finzione che non sempre riesce a trovare un
equilibrio, ma l'interesse dell'operazione è indubbio e il maestro Valerio
Mastandrea è straordinario per spontaneità, capacita di improvvisazione e
umanità.
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Ci
racconta una storia in apparenza di finzione,
La mia classe,
e poi in mezzo vi fa esplodere una realtà che subito ha il sopravvento. La
classe del titolo è in una scuola multietnica di Roma dove degli stranieri
adulti cercano la sera di imparare l'italiano. Glielo insegna un
personaggio che in realtà recita (il nostro bravo Valerio Mastandrea),
tutti gli altri invece non recitano o al massimo recitano se stessi,
indiani, peruviani, turchi, iraniani, egiziani, senegalesi. Sono lì
perché, nelle loro singole realtà, ognuno appunto con origini diverse, per
restare in Italia e riceverne i documenti idonei, hanno assoluta necessità
di saper parlare la nostra lingua. In mezzo a loro, però, c'è anche un
regista, lo stesso Gaglianone, che mentre ci dicono dei loro problemi li
riprende con i mezzi del cinema per realizzare, con loro, un film
documentario su di loro, anche se loro non fingono mai perché il maestro e
il regista li fanno esclusivamente parlare delle loro vite in Italia, ma
ecco che, con grande turbamento del maestro che recita e del regista che
opera sul vero per poi costruirci un film di finzione, accade un fatto che
rischia di bloccare tutto: uno degli studenti si sente dire dalle nostre
autorità che non gli verrà rinnovato il permesso di soggiorno perché,
anche se lì studia, non ha un lavoro e all'improvviso, così, fatica a
partecipare a quelle riunioni dicendo che, per lui, tornare a casa è la
morte. Si fermerà allora quella finzione pur interpretata da
personaggi-persone che su se stessi si limitano a dire il vero? Un dilemma
sia per il regista sia per il maestro, presto risolto però dalla
accettazione (forzata ma convinta) di quella nuova realtà. Con cui il film
si chiude in cifre dolenti e sconfortate. Un impegno forse arduo che però
Gaglianone ha risolto con un senso sicuro delle immagini e della
narrazione, dando spazio all'inizio con intelligenza a quell'incontro non
ancora scontro fra realtà e finzione e affrontando poi lo scontro con una
sensibilità forte ed accesa dove, in filigrana, si può anche leggere la
polemica così attuale oggi in Italia sulle strade difficili che ancora
debbono percorrere quei coraggiosi onesti che si battono per il principio
dell'integrazione. Ringrazio Gaglianone che, alleandosi a loro, l'ha fatto
con i mezzi più validi del cinema.
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Avvertenza:
chi non vuol sentir parlare di immigrazione è meglio che resti a casa.
Però sbaglia, perché la docufiction di Daniele Gaglianone è ben fatta, pur
se ammantata di demagogia. A Roma, quartiere del Pigneto. Il maestro
Valerio Mastandrea insegna con pazienza l'italiano a diciassette alunni,
provenienti da tutto il mondo. Magari i problemi fossero solo linguistici,
il dramma arriva con lo scadere dei permessi di soggiorno. E la
solidarietà non fa i miracoli.
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...La
mia classe
di Daniele Gaglianone, opera civile, politica e felicemente sbilenca,
irrisolta, eppure audace, coraggiosa, spudorata nella propria voglia di
sbattere la testa contro il muro di tutto quanto la società civile
nasconde sotto il tappeto della falsa coscienza, delle buone maniere,
dell'impegno di facciata (...) Il film, realizzato in due settimane di
riprese, è un film d'urgenza rara. Come un demo punk di una band che
incide tutto in diretta e in una sola session. Volume a palla, cuore
gonfio e tante cose da dire. Ma se anni di cinema son serviti a qualcosa,
Gaglianone sa ormai come contenere furia e passione e articolare il
proprio dire. Come gli Husker Du in musica, ha imparato a gestire
l'urgenza e la rabbia intrecciandola nella pratica di un cinema che
s'interfaccia con il rischio rifiutando di percorrere i sentieri noti.
La mia classe,
per dirla con formule note, è un «docu-fiction», ossia un film di finzione
che accoglie nel proprio tessuto elementi di cinema del reale. Valerio
Mastandrea è un maestro che insegna l'italiano a una classe di studenti
«extra-comunitari» rendendosi conto della propria lotta vana. Gli studenti
s'aggrappano a lui come a uno dei pochi barlumi di umanità di un paese
che, invece, nonostante i buoni propositi, non ne vuol sapere niente di
loro. Il momento della verità giunge sotto forma di un permesso di
soggiorno non rinnovato. La troupe e il cast si trovano di fronte a una
scelta vitale: continuare o abbandonare tutto? Ed è in questo snodo che il
film di Gaglianone tocca con chirurgica precisione il nervo scoperto del
cosiddetto cinema d'impegno civile (e si vedono dei soldi, dettaglio non
secondario...). Si fa cinema dalla parte della legge o si resta dalla
parte della giustizia? Assumendo in pieno le responsabilità del limite del
suo fare, Gaglianone esplode il fare nel limite, accogliendolo come
perimetro scomodissimo del suo agire. Quasi mai il cinema civile italiano
è giunto a ragionare a tale prossimità dei limiti dei propri propositi.
Gaglianone non si fa illusioni, e mostra, letteralmente, le contraddizioni
di chi interviene con il cinema nel reale. Gli scambi fra il regista e
Mastandrea (un miracolo di economia del segno, quest'uomo) sono esemplari
nel mettere in scena la disperazione di chi è costretto a notare il mare
che separa l'abisso delle intenzioni dall'efficacia del proprio agire.
Film potente, scabro, severo e dolente,
La mia classe,
nel confermare la «giustezza» del talento di Gaglianone, ne conferma anche
la... grande bellezza.
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