sezione CONTROCORRENTE: miglior attrice (SCARLETT JOHANSSON)
OSCAR
miglior sceneggiatura originale (SOFIA COPPOLA)
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Rilassante un Natale senza Harry Potter e Aldo Giovanni e Giacomo! Certo, fossero mancati anche Pieraccioni, Salemme e Boldi-DeSica… Il fatto è che anno dopo anno i film delle feste sono sempre più prevedibili, puntano sulla standardizzazione del prodotto e solo l’estro di certi autori consente la non omologazione del gusto cinematografico. Per questo scampolo di stagione le firme-garanzia, tra i film “per grandi”, sono quelle di Peter Weir (Master & Commander, l’attesissimo kolossal epico-navale con Russel Crowe), Denys Arcand (Le invasioni barbariche: esuberanza e buonumore faccia a faccia con l’agonia e la morte) e Jane Campion (la piccante crime-story In the Cut), ma il vero pacco-dono, delicato e frizzante, è l’opera seconda di Sofia Coppola . Lost in Translation- L’amore tradotto è un film che si avventura in luoghi e situazioni difficili da descrivere, che affronta la malinconia con dolcezza, che coglie il bisogno d’amore, la convergenza delle coincidenze, l’inesorabilità del distacco. È Tokio, la megalopoli della globalizzazione, la location esistenziale scelta dalla regista per un incontro sentimentale strampalato, di tenera vulnerabilità. Bob (Bill Murray) è un attore affermato che arriva in Giappone per girare lo spot di un whisky. Charlotte (Scarlett Johansson) si è da poco sposata con un fotografo di moda, sempre in giro per il mondo. Bob ha più di cinquant’anni, è spaesato e disilluso. Lei è una ventenne che si affaccia alla vita adulta con soavità e insicurezza. Il lussuoso Park Hyatt Hotel è una piattaforma “fuori dal mondo” dove Bob e Charlotte sbarcano come due alieni sperduti, alla ricerca di un senso in un realtà anonima, etnicamente bizzarra e incomprensibile. Tra bagni in piscina e drink al bar, tra petulanti karaoke e caotiche sale giochi, i due anestetizzano la loro insonnia, ma non la loro depressione. Timidezza e sensibilità affiorano come urgenze di una relazione d’affetti che si ferma sulla soglia dell’amore (finiranno, stremati, a letto insieme solo per una casta visione in tv de La dolce vita - il caso tamponerà una rivelatrice dichiarazione via fax - la pulsione romantica si stempererà in un commosso abbraccio d’addio), umorismo e amarezza creano un background d’ambiente a cui Sofia Coppola sa concedere un linguaggio cinematografico nitido e immediato, ritmi pacati, una tensione emotiva trattenuta ma di una grazia “invadente”. Quello che si perde nella traduzione delle lingue (Lost in Translation è il titolo originale e gli sketch ne evidenziano l’essenza) è anche quello che si perde nel dialogo dei sentimenti: non è certo il gap generazionale ciò che frena la complicità sentimentale di Bob e Charlotte, ma il peso delle responsabilità e l’azzardo di un amore impossibile. Nel finale Bob scende dal taxi, stringe tra le braccia Charlotte, la bacia per un istante e le sussurra qualcosa all’orecchio. Lei smette di piangere e lo saluta con dolcezza. Riusciamo noi spettatori, con lo stesso serenità, a staccarci dalla sussurrata introspezione di L’amore tradotto? ezio leoni - La Difesa del Popolo - 25 dicembre 2003 |
LUX -dicembre 2003
rassegna
di film in
lingua inglese sottotitolati in inglese
- ottobre 2011/aprile 2012
scheda inglese