Il giardino delle vergini suicide
(The Virgin
Suicides) |
Per afferrare il bandolo della metafora de Il giardino delle vergini suicide occorre cogliere poco alla volta, nell'arco di 96 minuti di immagini sempre legate agli stati d'animo, le frasi del narratore che danno ordine, se non proprio un senso logico, al mosaico dei ricordi. Nella felicissima e struggente opera prima della ventinovenne Sofia, orgoglio di papà Francis Ford Coppola (qui produttore), la storia delle cinque piccole donne del Michigan che si tolsero la vita nel lontano 1974 acquista infine i contorni di quella condizione femminile ideale — non romantica e tanto meno patetica — che gli uomini collocano tra i frutti del paradiso perduto. «Capimmo che le ragazze erano donne travestite, che capivano l'amore e la morte», racconta 25 anni dopo uno dei ragazzi affascinati e confusi dalla sorte inspiegabile delle incantevoli sorelle Lisbon. E ammette che i loro sogni, rubati da un diario, hanno tenuto, negli anni, più compagnia ai suoi amici delle rispettive consorti. Ma se tutto questo è il retaggio della novella di Jeffrey Eugenides da cui la stessa Sofia Coppola ha tratto la sceneggiatura, il film si illumina di luce propria sorvolando leggero come una piuma il solco umanistico tracciato dal padre dell'autrice. C'è un tocco gentile e sensuale che innamora lo spettatore nei palloncini che piovono tra i ragazzi al ballo, nell'esplorazione della casa-prigione delle “vergini” di un sacerdote che vorrebbe portare una parola di conforto, nei tentativi dei compagni di liceo di sottrarre all'isolamento Lux Lisbon e le sue sorelle, segregate dai genitori ottusamente perbenisti (James Woods e Kathleen Turner, icone mummificate) e costrette ad affidare i loro messaggi cifrati alle canzoni dei Bee Gees trasmesse per telefono. Questo avviene dopo il volo mortale, sulle aste acuminate d'un cancello, di Cecilia, la più giovane delle Lisbon. Nessuno sa spiegare il gesto: né lo strizzacervelli Danny De Vito, né i media. Ed è il preludio alla emulazione collettiva, che passa attraverso la perdita dell'innocenza di Lux (la deliziosa Kirsten Dunst), complice il campione di football del liceo. Nell'evocare il dramma tra fotografici effetti flu alla Hamilton e spigliate annotazioni antirealistiche (lo slip con dedica letto alla Nembo Kid), Sofia Coppola fa sfoggio di equilibrio e di stile: una regia che incanta alla prima fioritura. |
Alfredo Boccioletti - Il Resto del Carlino |
TORRESINO - dicembre 2000 |
Le cinque sorelle Lisbon si sono trasformate in creature sublimi sul punto di diventare delle donne stupende. Affascinati da queste bellissime ninfe, i ragazzi del vicinato le spiano nel tentativo di penetrare nel loro cuore. Quando la figlia più giovane Cecilia si uccide, l'attrattiva nei ragazzi si acuisce, trasformandosi in curiosità perversa... Una storia (realmente accaduta) cruda e amarissima, con un finale tragico, che l'esordiente Sofia Coppola incastra in una "dimensione onirica" proprio per far risaltare meglio le aspre contraddizioni e le drammatiche conseguenze. |