da Il Mattino (Valerio Caprara) |
Che brutto titolo (italiano). Litigi d'amore in originale si chiama The Upside of Anger ovvero il lato superiore, l'apice della rabbia, da intendersi meglio come «la parte positiva del rancore». Comunque sia, un film energico e accurato che recupera uno dei valori del cinema americano classico, lo studio particolareggiato dei caratteri in chiave di tragicommedia domestica. Il regista Mike Binder (che si ritaglia anche la parte dello scombinato seduttore d'adolescenti) si era fatto notare con il serial Quello che gli uomini non dicono, a conferma del fatto che proprio in questo campo dello specifico televisivo si stanno formando i più versatili e competenti cineasti di domani. Succede anche che il protagonismo di Kevin Costner e Joan Allen - in apparenza studiato per offrire un appiglio al disperso pubblico adulto - si riveli la dote principale di una trama che finge di rovistare nel costume middle class per arrivare a un'acuta disamina della rischiosità dei sentimenti e dell'insensatezza delle più comuni parabole esistenziali. Siamo, insomma, dalle parti di American Beauty e di Magnolia, con meno inventiva registica, ma con identica, sostanziale durezza: grazie all'ottima scrittura Binder riesce, così, a centrare i dettagli decisivi delle situazioni, a scantonare mirabilmente dalle descrizioni, a travasare stupore e compassione nei dialoghi, ad aggiornare con sferzante disperazione gli archetipi femminili di Piccole donne. La rabbia di base, staremmo per dire doverosa, è quella della moglie matura e benestante abbandonata di punto in bianco dal marito; poi c'è quella ispida e contraddittoria delle quattro figlie indecise tra solidarietà e istinto di autoconservazione; infine s'intromette quella vagamente trasognata del vicino ex campione di baseball, che vivacchia in solitario disordine e si arrangia per sopravvivere lavorando alla radio e vendendo autografi. La segaligna Allen in preda ad attacchi nevrotici e l'appesantito Costner perso nei suoi malumori costruiscono un rapporto d'amore, reso precario dall’abuso di alcol e minacciato dalle cadenze di un ménage (litigi, telefonate, pranzi, cerimonie, pomeriggi vuoti davanti alla tv) che le ragazze vorrebbero confusamente strappare alla cappa incombente della depressione. Il film quasi s'insinua con acidulo garbo tra le scariche di tensione, tra la stabilità «indifferente» delle case con prato e piscina e il tumultuoso trascorrere di un tempo che non è solo quello metereologico. Scavalcando un finale di convenzione, lo spettatore si ritrova arricchito dal gioco di sguardi dei bravissimi cinquantenni, dagli umori spigolosi delle commoventi teenager, dalle logiche di un microcosmo umano che ha orrore e terrore delle indecisioni. |
TORRESINO
- maggio 2005