La
guerra è dichiarata
(La guerre est déclarée)
Valérie Donzelli -
Francia
2011
- 1h 40' |
C'erano
tutti gli elementi per farne un film cupo e pessimista, dal tema della
malattia alla biografia personale della regista-interprete, eppure
La
guerra è di chiarata
è una delle commedie più coinvolgenti e contagiose viste negli ultimi
tempi.
Trentanove anni, studi di architettura prima di passare al cinema,
conosciuta più per i suoi moli televisivi che cinematografici, Valérie
Donzelli si fa notare al festival di Locarno del 2009 come regista (La
reine des pommes - La regina delle
mele - inedito in Italia) per esplodere nel 2011 aprendo la
Semaine
de la Critique a Cannes con La guerre est déclarée, adesso
distribuito anche in Italia. Cosa racconta il film ce lo dice senza tanti
infingimenti la prima scena, dove un ragazzo di otto anni, accompagnato
dalla mamma, si sottopone a una risonanza magnetica. Il risultato è
positivo: nessun pericolo per il piccolo Adamo. Tutto bene.
Quello che lo spettatore capisce immediatamente è che, per sottoporsi a
una visita così specifica, in passato il bambino qualche problema lo deve
avere avuto. Quello che invece può non sapere è che la mamma e il figlio
sono tali anche nella vita reale: lei è Valérie Donzelli, regista ma qui
anche interprete, nel ruolo di Giulietta; lui è Gabriel Elkaïm, il bambino
che la Donzelli ha avuto da Jérémie Elkaïm, che vedremo nelle scene
immediatamente successive, nel ruolo di Romeo.
Dopo la prima scena, infatti, i film torna indietro di una decina d’anni,
durante una festa dove Romeo e Giulietta si incontrano, scherzano sui loro
nomi shakespeariani, si innamorano e decidono di affrontare la vita (e i
sogni di sfondare nel cinema) insieme. E fin da questo salto indietro,
quando il piccolo Adamo ancora non era nato, si capisce come il tono della
messa in scena non sia quel lo del melodramma o del dramma tout court ma
piuttosto quello della commedia. Un tono che la regia ottiene grazie a una
libertà di linguaggio e di invenzioni sorprendente e dissacrante, usando
per esempio tanti piccoli estratti dai film scientifici di Jean Painlevé
per spiegare il colpo di fulmine che scatta nel le loro teste (in realtà
sono fotogrammi sulla cristallizzazione dello zucchero, ma a chi interessa
questo tipo di verità scientifica?). Oppure inquadra
L’origine della vita
di Courbet per «raccontare» la nascita del loro figlio.
Questa libertà narrativa continuerà per tutto il film, ma il vero colpo di
genio è quello del ribaltamento del punto di vista. Quando la giovane
coppia scopre che il figlio di 18 mesi ha un tumore al cervello, il film
non adotta il punto di vista della vittima né segue l’odissea dei due
genitori: racconta piuttosto la voglia di Romeo e Giulietta di reagire
alla disgrazia. Non è uno scarto da poco: invece di mettersi dal punto di
vista di chi soffre (e a ragione, verrebbe da aggiungere, vista la
tragedia del figlio), sceglie di raccontare quello di chi reagisce, di chi
lotta, di chi cerca in tutti i modi di non farsi schiacciare dal dolore.
In questo modo l'inevitabile meccanismo di identificazione avviene non con
la passività della tragedia ma con la volontà reattiva di chi non vuole
cedere alla disperazione.
Di ognuna delle varie «stazioni» di questa laicissima via crucis, la
Donzelli mette in evidenza i momenti di involontaria comicità (la pediatra
che, dopo aver intuito la gravità della malattia, per chiamare ’ospedale
solleva la cornetta di un telefono giocattolo che ha sulla scrivania),
senza preoccuparsi di essere scorretta o oltraggiosa (la serie di battute,
sempre più allusive e «pesanti» che i genitori si scambiano quando
aspettano l’esito dell’operazione e esorcizzano il suo possibile
fallimento immaginando «tragedie» ancora più grandi). A volte arriva anche
a far ricorso alla magia — per preparare un brindisi di Natale — e
aggirare così una scelta estetica esclusivamente realista, che sarebbe
state inevitabilmente cupa e depressiva.
Invece alla fine, quando una gita sulla spiaggia come nei
Quattrocento colpi
di
Truffaut (ma questa volta in compagnia della madre) testimonia
definitivamente la guarigione, lo spettatore si sente felice e sollevato
perché per tutto il film ha lottato anche lui un po’ con i genitori,
condividendo la loro grinta e la loro forza d’animo e «aiutandoli» a
tenere lontano disperazione e rassegnazione. |
Paolo Mereghetti -
Il
Corriere della Sera |
...Questo
film è l’esatto contrario della tv del dolore o dei derivati letterari e
cinematografici cui siamo ormai abituati. Appena ricevuto l’agghiacciante
notizia, i due giovani genitori si lanciano in una tragicomica corsa
contro il tempo per salvare il loro bambino, trasformano tutte le paure in
azione, il senso di morte in sfrenata vitalità, s’aggrappano a ogni buon
segnale, si ribellano a un destino davvero terribile e alla fine vincono
il male. «Perché è accaduto proprio a noi?», «Perché noi
possiamo farcela» è uno dei dialoghi chiave.
È un film originale nello stile, mescola documentario e storia d’amore,
musicale melodramma. A volte in maniera incongrua, per esempio quando
Juliette e Romeo, di ritorno dall’ospedale, se ne escono in un duetto
vocale piuttosto assurdo. Ma il salto da un genere all’altro, insieme alla
recitazione spontanea degli attori, riesce trasportare il racconto di una
vicenda altrimenti indicibile su un piano metaforico, poetico.
Il resto è molto «nouvelle vague». I dialoghi, i personaggi, le situazioni
rimandano di continuo e volutamente al grande cinema di Truffaut, a
partire dallo stridente e a tratti grottesco confronto fra le due famiglie
di origine dei protagonisti, l’una borghese come soltanto certe famiglie
francesi sanno essere, l’altra composta da un’anziana coppia lesbica, alla
fine accomunate nella solidarietà di fronte al dramma. Non un capolavoro
insomma, ma un film sorprendente per vitalità, intelligenza, humour. |
Curzio Maltese -
La Repubblica |
promo |
Una storia d'amore particolare, perché è quella di una giovane
coppia parigina, che viene messa alla prova dalla precoce malattia
del loro piccolo bambino, affetto da una rara forma di tumore al
cervello... Il lieto fine che apre il film permette alla regia di
costruire una commedia del non-dolore, ma della forza d'animo e
della speranza («Perché è accaduto proprio a noi?», «Perché noi
possiamo farcela»). In questo modo l'inevitabile meccanismo di
identificazione avviene non con la passività della tragedia ma con
la volontà reattiva di chi non vuole cedere alla disperazione. Un
racconto sentimentale, con venature lievi di musical e un
spruzzata di nouvelle vague. Un sorprendente mix di
vitalità, intelligenza e humour. |
cinélite
giardino
BARBARIGO:
giugno-agosto
2012
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