Attenzione:
capolavoro in arrivo.
Grizzly Man, uscito in America nel 2005 e passato al
Torino Film Festival dello stesso anno, arriva finalmente nelle sale
italiane distribuito dalla Fandango. È un documentario, ma non fatevi
fregare: andate a vederlo e rimarrete sconvolti. Perché è diretto da
Werner Herzog, il grande regista tedesco che dopo aver firmato capolavori
di finzione negli anni 70 e 80 (Aguirre,
La ballata di Stroszek,
Nosferatu,
Fitzcarraldo) sta riscrivendo le regole del cinema documentaristico. E
perché racconta la vera, incredibile storia di Timothy Treadwell, un uomo
che negli Stati Uniti era diventato piuttosto popolare (era stato diverse
volte da David Letterman e in altri talk-show televisivi) per la sua
singolare mania. Timothy amava i grizzly, i giganteschi orsi dell'estremo
Nord americano: aveva creato una fondazione per proteggerli (potete
saperne di più visitando il sito www.grizzlypeople.com) e per 13 anni ha
passato le sue estati vivendo in mezzo a loro in un parco nazionale
dell'Alaska. Si era convinto di essere diventato loro amico: forse,
addirittura, di «essere» un orso. Finché un orso più feroce o più affamato
degli altri, che non lo conosceva, lo ha ucciso. Timothy e la sua ragazza
sono stati infatti divorati da un grizzly che poi è stato abbattuto. Il
sonoro della tragedia (non le immagini, per fortuna) rimasero immortalati
sulla videocamera che portava sempre con sé: Timothy aveva infatti
l'abitudine di filmarsi durante le sue «avventure fra gli orsi», e dopo la
sua morte furono trovati filmati per centinaia di ore. È su questo
straordinario materiale che ha lavorato Werner Herzog:
Grizzly Man è un
film al 70% girato da Treadwell, ma il grande cineasta tedesco ha montato
i filmati, ha aggiunto alcune interviste (impressionante quella al coroner
che esaminò i resti) e una voce fuori campo nella quale dà la propria
interpretazione di questa storia. Timothy Treadwell diventa così, a pieno
titolo, uno dei «folli» raccontati da Herzog nei suoi film, un uomo che
sfida la civiltà e passa il periglioso confine che ci separa dai mondi
selvaggi. Film, ripetiamo, straordinario. |
L'uomo
che ballava con gli orsi è così fuori di testa che pare uscito da un film
di Herzog. E in effetti è davvero il protagonista di un film di Herzog.
Solo che non l'ha mai saputo perché Treadwell era un personaggio reale,
morto tragicamente dopo una vita così bizzarra, ossessiva e
cinematografica che il regista di
Aguirre, di
Fitzcarraldo
e di tanti
grandi documentari su casi-limite, in certo modo non poteva non farne un
film.
Fra il 1990 e il 2003 infatti, per tredici estati, il newyorkese Timothy
Treadwell, fisico atletico, caschetto biondo, parlantina fluviale, è
vissuto in solitudine insieme ai suoi adorati, giganteschi,
pericolossisimi grizzly di una sperduta regione dell'Alaska. Ufficialmente
era lì per "proteggerli", missione di cui si era autoinvestito. Di fatto
quelle estati rappresentavano un'oasi di estasi (è la parola che usa
Herzog), ovvero di uscita violenta da sé, in un'esistenza borderline
costellata di inciampi e amarezze.
Ma tutto questo in
Grizzly Man lo scopriamo poco a poco, guardando e
ascoltando non solo le testimonianze postume ma i monologhi di Treadwell
fra gli orsi. Perché questo difensore della Natura ecco la grandiosità, il
tratto egomaniacale che ne fa definitivamente un personaggio di Herzog ha
lasciato 90 ore di immagini filmate fra i grizzly, 90 ore di confessioni,
deliri, invettive sconvolgenti per impeto e candore e naturalmente di
orsi. Orsi che pascolano, orsi che fanno il bagno, orsi che lottano, orsi
ai quali Treadwell si avvicina ogni volta che può cercando pure di
toccarli («Se mi mostrassi debole, se esitassi un secondo, verrei
decapitato, fatto a pezzi, sbranato», spiega alla telecamera).
Herzog si è dunque limitato a esplorare questo incredibile làscito di
immagini cercando la logica segreta, la bellezza, la magia nascosta in
certi momenti apparentemente vuoti e sfuggita talvolta al suo stesso
autore (la lunga amicizia fra Treadwell e una volpe che torna a trovarlo
con i cuccioli è assolutamente commovente). Ma il resto il resto è pura,
cieca, sorgiva ferocia. La ferocia innocente della Natura che Treadwell,
ex-alcolista, ex-aspirante attore, si ostinava a non vedere, idealizzando
gli orsi e il loro mondo fino a sognare di farne parte. E a commettere
l'errore fatale che nel 2003, quando doveva essere già partito, lo mise
davanti a un orso più vecchio del solito che fece a pezzi e divorò prima
lui e poi la fidanzata che per una volta lo aveva seguito fin lì. Una fine
terribile su cui il film non specula, evitando anche di farci ascoltare
gli ultimi minuti registrati per caso (solo il sonoro) dalla telecamera di
Treadwell. Mostrandoci invece Herzog che ascolta il nastro e poi dice
all'amica che lo conserva di non ascoltarlo mai e di distruggerlo. Perché
come dice in chiusura, «con queste immagini Treadwell ha finito per
gettare non uno sguardo sulla Natura quanto su noi stessi, sulla natura
umana». Di tutte le immagini, forse la più difficile da sopportare. |