da La Repubblica (Roberto Nepoti) |
"L'inferno sono gli altri" diceva Jean Paul Sartre; e l'asserzione sembra applicarsi, oggi, soprattutto ai rapporti di coppia. Dopo la versione sofisticata di gioco (al massacro) d'amore appena vista in Closer, un altro film americano viene a raccontarci i terremoti sentimentali di una generazione, quella dei trenta- quarantenni. Amici per la pelle, Jack (Mark Ruffalo) e Hank (Peter Krause) sono professori di letteratura in un villaggio universitario; le mogli si occupano delle faccende domestiche. Scrittore frustrato, Hank tradisce Edith (Naomi Watts) con le studentesse, mentre Edith tradisce lui con l'amico. Finché Terry (Laura Dern), che non si sente amata dal marito, per vendicarsene scivola in una relazione amara con Hank. Tutti hanno bambini, di cui si occupano poco e che trattano come impicci. Per tenerli quieti, un professore spiega ai suoi che liti e scenate di gelosia tra i genitori sono solo "giochi dei grandi": giochi ben poco divertenti, in verità, che avvelenano lentamente le vite di tutti. Più che la breve esaltazione dei sensi (le scene esplicite tra Naomi e Mark), I giochi dei grandi ci narra le lunghe ambasce e i sensi di colpa che essa produce, come effetti collaterali, sulla vita a due (a quattro). Anche se, nell'epilogo, una coppia fa il tentativo di ricominciare, mentre l'altra si sfascia, aleggia un generale pessimismo sulle possibilità della vita a due, e del matrimonio in particolare. Lodevole, e riuscito, lo sforzo di rispettare il punto di vista dei diversi personaggi. |
da Film Tv (Pier Maria Bocchi) |
Spiace ripetere sempre la solita litania, come delle cornacchie appollaiate, però, scusate, il titolo originale, We Don’t Live Here Anymore, "non abitiamo più qui", è bellissimo, molto seventies, e definisce già da solo un intero mondo e dei personaggi. Quali giochi? I grandi? Peccato non si sia dato un po’ più di credito a questo dramma incrociato di matrimoni, tradimenti, inquietudini quotidiane e passioni senza nome, dove due coppie agiate non riescono a trovare pace, o meglio, non riescono più a recuperarla, la pace, se mai peraltro l’hanno avuta. Niente di nuovo, intendiamoci (la tira un po’ troppo per le lunghe, girando a due terzi un po’ a vuoto), però la scrittura è abbastanza lucida, e sa affondare nelle piaghe di un vivere insoddisfatto senza rattoppare nulla. Più che cattiveria nei confronti di figure dall’identità incerta, quella del film è morbidezza glaciale. Occhio alla sequenza sulla roccia con Ruffalo. La battuta migliore, e fulminante, è di Naomi Watts, sulla porta di casa, nel finale: fateci attenzione, è un pugno nello stomaco del conformismo regolarizzato. |
minipersonale: JOHN CURRAN
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TORRESINO
aprile-giugno 2007
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- maggio 2005