Non aspettatevi dalla
Genesi di Olmi (titolo
completo
Genesi. La Creazione e il Diluvio) un santino lezioso alla
Zeffirelli o un colossal altisonante tipo Cecil B. De Mille. Il suo nuovo
lungometraggio è proprio, come lui stesso l'ha definito, un audio-film,
immagini di grande fascino scandite da una voce narrante, una trasposizione
fedele del testo biblico non solo come contenuti lessicali, ma pure come
suggestione figurativa.
L'apertura del film è un momento di vera immersione emotiva nell'atmosfera
"favolistica" della creazione: "Nessuno può conoscere
quello che ancora si nasconde nel grembo della luce. Solo quando il giorno..."
La scommessa vinta da Olmi è stata quella di riuscire a dare omogeneità
ai versetti originali del Vecchio Testamento ed ai nuovi testi inseriti
dalla sceneggiatura. Le parole scorrono in un continuum efficacissimo che
ridà nuova vita alla storia più antica del mondo: "...pochi
sono quelli che sanno vedere, qualche volta, quando il Signore guida i
loro sguardi incerti. Come quando il primo uomo aprì il suo sguardo
sul mondo e il suo stupore non aveva fine. Così è stato fin
dall'inizio".
Al lirismo delle parole
Olmi
aggiunge l'idea semplice, ma essenziale di
leggere il racconto biblico come una antica favola che un vecchio berbero
narra ad un bambino intimorito dal buio. Il valore della tradizione orale,
di una affabulazione che ci ripara dalla solitudine e dalla paura, diventa
valore di una comunanza tra esseri umani, tra generazioni e generazioni,
tra Padre e figli. Lo stimolo delle parole, l'abbraccio delle immagini,
il coinvolgimento, attraverso lo sguardo, con la potenza del creato. Olmi
gioca la sua carta fino in fondo. Non costruisce drammaturgicamente gli
eventi, non ricrea un minimo di rappresentazione dialogata neppure per
l'episodio più "mosso" di Caino e Abele. La voce fuori
campo continua ininterrotta ed alla suggestione subentra, bisogna confessarlo,
un po' di noia.
Solo con l'avventura di Noè la scelta stilistica riprende vigore,
pur nella massima coerenza. Non un'inquadratura esterna del diluvio e dell'arca,
non un campo lungo esterno. Lo sguardo, quasi in una "soggettiva"
esistenziale, è racchiuso tra le pareti della grande casa di legno,
la terra sommersa dall'acqua non la vediamo mai, ma, come per Noè
e la sua famiglia, resta una presenza esterna, che si avverte per il ticchettio
incessante della pioggia, per le gocce che penetrano insistenti dal soffitto.
Poi, quando la colomba ritorna portando il suo ramoscello salvifico e l'arcobaleno
ridisegna nel cielo l'arco dell'alleanza, le immagini tornano a "cantare
la gloria del creato" e, rispettosi del lavoro artistico, ma sinceramente
affaticati, capiamo che finalmente, anche per l'opera di Ermanno Olmi,
"tutto è compiuto".
|