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Le stesse scene iniziali invitano ad intendere
Camminacammina come una rappresentazione popolare, una vicenda 'privata
e corale' sul canovaccio della venuta dei Magi. Con un consunto telone
che fa da cartogramma celeste e da sipario di stelle, si va ad incominciare...
Mel e Rupo: il sapiente, astrologo e sacerdote del Dio antico, ed il discepolo,
un bambino già iniziato alla lettura dei testi sacri ed ai riti
sacrificali. Il mondo degli adulti, invischiati nelle tradizioni religiose
e sociali, e quello dei fanciulli, alla perenne ricerca del capire, con
lo spirito riluttante di fronte a qualsiasi offesa alla vita (anche a quella
di un agnellino).
Poi il luminoso astro della Natività solca il cielo ed i due si
inseriscono, come guide regali del loro popolo, in un discorso più
pronfodo e concreto di venerazione e speranza, mettendosi in marcia nella
direzione indicata dalla stella: camminacammina incontro al nuovo
re, salvatore dell'umanità, guidati da un centurione farfugliante,
mescolati tra fedeli e furfanti, oltre fiumi e montagne, con i fogli delle
scritture sferzati dal vento.
Qualcuno fugge o desiste, ma la carovana procede fiduciosa ("si
vede ancora la stella? Anche se non si vede c'è di sicuro"),
si unisce a quelle di altri due inviati regali e con muli, elefanti e cammelli
giunge alfine alla meta. I tre magi debbono ancora superare l'infida cortesia
di un vessatorio governatore, quindi (l'ultima indicazione è dalla
voce degli oppressi), tra antichi ruderi ormai soggiogati dalla vegetazione,
incontrano il santo bambino, vedono la sua manina spuntare dalla greppia
dell'asino e porgono i doni di santità, regalità e martirio
mentre ricevono a contraccambio tre piccoli pani e Rupo lascia nella stalla
un simbolico agnellino. Vengono raccolte altre offerte di denaro e gioielli,
ma la notte si fa carica di minacce e le tre guide, confondendo i loro
timori con visioni angeliche di avvertimento, rimettono la carovana sulla
strada di casa.
Ognuno riprende l'originaria direzione di provenienza, le monete e gli
ori non consegnati finiscono nelle tasche dei magi; solo una voce osa proclamare
la vigliaccheria e gli inganni ed intanto, nell'abbandonata radura del
presepe, restano i tragici segni della prima strage dell'era cristiana.
"... Ho voluto raccontare una favola a
sfondo metafisico. In questo senso io paragono il cinema all'arte popolare
della narrazione orale".
Non occorrerebbero altre parole per chiarire la lettura di
Camminacammina,
dato che tutto il film si umilia e si eleva proprio nel definirsi di questa
ottica d'autore. L'eccessiva lentezza, il predominare dell'oscurità
notturna, le ricorrenti declamazioni di massime e moniti biblici, l'esile
frammentarsi dell'evento-guida in una miriade di episodi-parabole, la spontaneità
povera di paesaggi, scenografie e recitazione non sono che le caratteristiche
stesse, punti di forza e di debolezza, della scelta stilistica di Olmi
:
un racconto quindi "popolare" piuttosto che "popolaresco",
non rigorosamente storico né asceticamente mistico, una rappresentazione
tra il sacro ed il profano, vera nel suo intimo proprio perché ardita
e riflessiva.
"Anche nel coraggio c'è un po' di demenza ed anche nella
demenza c'è un po' di ragione" ricorda durante il viaggio
il suonatore di flauto. Ci sono voluti davvero "coraggio e demenza"
per intraprendere un simile lavoro con tanta professionalità ed
impegno e così poca arrendevolezza commerciale (basti pensare alla
durata globale dell'impresa - circa tre anni - con le conseguenti spese
di produzione, alla gioviale e rigorosa coerenza espressiva della parlata
toscana, alle fatiche quotidiane della realizzazione nella zona di Volterra,
con tessuti, costumi ed arredi costruiti 'in loco').
Ma quella che alla fine predomina è la "ragione" di Olmi,
il suo pensiero di "credente non passivo",
fin troppo preoccupato, nel suo "smontare
completamente l'immagine o meglio l'immaginetta religiosa"
di puntualizzare che "credenti non significa
appartenere ad una Chiesa, votarsi ad un Dio, ma accettare il mistero della
fede", poiché ciò che più
brilla in questo suo undicesimo lungometraggio è la sincerità
della ricerca e la finezza di accenti di un cristianesimo ormai profondamente
radicato e fervido di meditazione: citiamo, su tutto, lo splendido "itinerario
eucaristico", con Rupo che sussurra "mi piacerebbe fare il
panettiere" giusto prima dell'apparire della cometa (la meta,
sottintesa, è naturalmente Betlemme, "casa del pane")
e con il simbolico scambio delle offerte - "oro, incenso e mirra"
più i pani e l'agnello - tutti segni limpidamente cristologici,
per una Natività in cui già si compie, nella sua pienezza,
il progetto messianico.
Il ventilato scandalo c'è solo per chi legge le tenebre come il
regno dei male e non del dubbio, per coloro ai quali le parolacce stonano
solo perché sono in bocca ai bambini (il termine del caso è
"ecolalia"), per chi vuole dimenticare e non rileggere in maturità
di confronto la storia della Chiesa. Nello sconclusionato procedere della
carovana di Camminacammina c'è la denuncia dei vari controsensi
della religiosità, dallo "scandalizzare" i bambini con
la violenza sacrificale all'adagiarsi o in formule e gesti volutamente
incomprensibili o nell'elitaria acquiescenza dello spirito ("arrivati
a questo punto non ci resta altra scelta che quella delle certezze");
c'è la critica all'immobilismo di certe istituzioni clericali, negatesi
al vero impegno (la fuga di fronte al pericolo) o troppo compromesse con
i criteri ed i simboli della realtà materiale (l'appropriazione
del denaro, con la scusa di "costruire templi per celebrare la
venuta di Dio sulla terra").
E c'è la polemica, o semplicemente la delusione, nell'osservare
la meschinità del "popolo dei fedeli" confuso tra paura
e debolezza nell'affrontare le asperità della vita, vilmente in
rotta come i propri capi (spirituali, intellettuali o altro) di fronte
alle prove di devozione ed eroismo, entusiasta per i grandi segni, ma presto
dimentico dell'intimismo degli eventi più veri.
ezio leoni -
Espressione
Giovani luglio-agosto1983
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