Camminacammina
Ermanno Olmi - Italia 1983 - 2h 45'

  "Si vede ancora la stella? Anche se non si vede c'è di sicuro"

  • Le stesse scene iniziali invitano ad intendere Camminacammina come una rappresentazione popolare, una vicenda 'privata e corale' sul canovaccio della venuta dei Magi. Con un consunto telone che fa da cartogramma celeste e da sipario di stelle, si va ad incominciare... Mel e Rupo: il sapiente, astrologo e sacerdote del Dio antico, ed il discepolo, un bambino già iniziato alla lettura dei testi sacri ed ai riti sacrificali. Il mondo degli adulti, invischiati nelle tradizioni religiose e sociali, e quello dei fanciulli, alla perenne ricerca del capire, con lo spirito riluttante di fronte a qualsiasi offesa alla vita (anche a quella di un agnellino).
    Poi il luminoso astro della Natività solca il cielo ed i due si inseriscono, come guide regali del loro popolo, in un discorso più pronfodo e concreto di venerazione e speranza, mettendosi in marcia nella direzione indicata dalla stella: camminacammina incontro al nuovo re, salvatore dell'umanità, guidati da un centurione farfugliante, mescolati tra fedeli e furfanti, oltre fiumi e montagne, con i fogli delle scritture sferzati dal vento.
    Qualcuno fugge o desiste, ma la carovana procede fiduciosa ("si vede ancora la stella? Anche se non si vede c'è di sicuro"), si unisce a quelle di altri due inviati regali e con muli, elefanti e cammelli giunge alfine alla meta. I tre magi debbono ancora superare l'infida cortesia di un vessatorio governatore, quindi (l'ultima indicazione è dalla voce degli oppressi), tra antichi ruderi ormai soggiogati dalla vegetazione, incontrano il santo bambino, vedono la sua manina spuntare dalla greppia dell'asino e porgono i doni di santità, regalità e martirio mentre ricevono a contraccambio tre piccoli pani e Rupo lascia nella stalla un simbolico agnellino. Vengono raccolte altre offerte di denaro e gioielli, ma la notte si fa carica di minacce e le tre guide, confondendo i loro timori con visioni angeliche di avvertimento, rimettono la carovana sulla strada di casa.
    Ognuno riprende l'originaria direzione di provenienza, le monete e gli ori non consegnati finiscono nelle tasche dei magi; solo una voce osa proclamare la vigliaccheria e gli inganni ed intanto, nell'abbandonata radura del presepe, restano i tragici segni della prima strage dell'era cristiana.

"... Ho voluto raccontare una favola a sfondo metafisico. In questo senso io paragono il cinema all'arte popolare della narrazione orale". Non occorrerebbero altre parole per chiarire la lettura di Camminacammina, dato che tutto il film si umilia e si eleva proprio nel definirsi di questa ottica d'autore. L'eccessiva lentezza, il predominare dell'oscurità notturna, le ricorrenti declamazioni di massime e moniti biblici, l'esile frammentarsi dell'evento-guida in una miriade di episodi-parabole, la spontaneità povera di paesaggi, scenografie e recitazione non sono che le caratteristiche stesse, punti di forza e di debolezza, della scelta stilistica di Olmi film successivo in archivio: un racconto quindi "popolare" piuttosto che "popolaresco", non rigorosamente storico né asceticamente mistico, una rappresentazione tra il sacro ed il profano, vera nel suo intimo proprio perché ardita e riflessiva.
"Anche nel coraggio c'è un po' di demenza ed anche nella demenza c'è un po' di ragione" ricorda durante il viaggio il suonatore di flauto. Ci sono voluti davvero "coraggio e demenza" per intraprendere un simile lavoro con tanta professionalità ed impegno e così poca arrendevolezza commerciale (basti pensare alla durata globale dell'impresa - circa tre anni - con le conseguenti spese di produzione, alla gioviale e rigorosa coerenza espressiva della parlata toscana, alle fatiche quotidiane della realizzazione nella zona di Volterra, con tessuti, costumi ed arredi costruiti 'in loco').
Ma quella che alla fine predomina è la "ragione" di Olmi, il suo pensiero di "credente non passivo", fin troppo preoccupato, nel suo "smontare completamente l'immagine o meglio l'immaginetta religiosa" di puntualizzare che "credenti non significa appartenere ad una Chiesa, votarsi ad un Dio, ma accettare il mistero della fede", poiché ciò che più brilla in questo suo undicesimo lungometraggio è la sincerità della ricerca e la finezza di accenti di un cristianesimo ormai profondamente radicato e fervido di meditazione: citiamo, su tutto, lo splendido "itinerario eucaristico", con Rupo che sussurra "mi piacerebbe fare il panettiere" giusto prima dell'apparire della cometa (la meta, sottintesa, è naturalmente Betlemme, "casa del pane") e con il simbolico scambio delle offerte - "oro, incenso e mirra" più i pani e l'agnello - tutti segni limpidamente cristologici, per una Natività in cui già si compie, nella sua pienezza, il progetto messianico.
Il ventilato scandalo c'è solo per chi legge le tenebre come il regno dei male e non del dubbio, per coloro ai quali le parolacce stonano solo perché sono in bocca ai bambini (il termine del caso è "ecolalia"), per chi vuole dimenticare e non rileggere in maturità di confronto la storia della Chiesa. Nello sconclusionato procedere della carovana di
Camminacammina c'è la denuncia dei vari controsensi della religiosità, dallo "scandalizzare" i bambini con la violenza sacrificale all'adagiarsi o in formule e gesti volutamente incomprensibili o nell'elitaria acquiescenza dello spirito ("arrivati a questo punto non ci resta altra scelta che quella delle certezze"); c'è la critica all'immobilismo di certe istituzioni clericali, negatesi al vero impegno (la fuga di fronte al pericolo) o troppo compromesse con i criteri ed i simboli della realtà materiale (l'appropriazione del denaro, con la scusa di "costruire templi per celebrare la venuta di Dio sulla terra").
E c'è la polemica, o semplicemente la delusione, nell'osservare la meschinità del "popolo dei fedeli" confuso tra paura e debolezza nell'affrontare le asperità della vita, vilmente in rotta come i propri capi (spirituali, intellettuali o altro) di fronte alle prove di devozione ed eroismo, entusiasta per i grandi segni, ma presto dimentico dell'intimismo degli eventi più veri.

ezio leoni -  Espressione Giovani luglio-agosto1983

Regia, soggetto, sceneggiatura, scenografia, fotografia e montaggio: Ermanno Olmi. Musica: Bruno Nicolai.
Interpreti:
Alberto Fumagalli (Mel, il sacerdote), Antonio Cucciarré (Rupo), Eligio Martellacci (il centurione del re).
Produzione:
Rai-Radiotelevisione Italiana e Scenario s.r.l. Distribuzione: Gaumont.

   

Quando a Cannes, nel maggio 78, la Palma d'oro venne assegnata a L'albero degli zoccoli, al pubblico questa parve finalmente l'occasione per la scoperta 'popolare' (in contenuti ed adesione) di un nuovo grande regista e le ovazioni per Ermanno Olmi furono quasi unanimi e coscientemente partecipi. Fu il rivelarsi per lo spettatore di una concezione del cinema 'povera' e profondamente umana, rivolta alla "rivalutazione dell'ovvio" ed alla rappresentazione meditata della quotidianità, trasportata per l'occasione in un mondo, quello contadino, in stretto e sincero contatto con le tradizioni più feconde, con la "faticosa" disponibilità della natura, con la fede cristiana, rasserenante e fraterna.
Per la critica fu il ritrovare un autore-artigiano da tempo sulla breccia, perfettamente identificabile per originalità, serietà e qualità d'impegno.
Nato a Bergamo il 24 luglio 1931, inserito fin da giovanissimo nel mondo del lavoro (causa la prematura scomparsa del padre), Olmi poté ugualmente coltivare l'amore per la recitazione con valide esperienze filodrammatiche e facendosi tra l'altro notare, per le sue imitazioni dopolavoristiche, nella ditta in cui era impiegato, la Edisonvolta. Ben presto viene creata, ed affidata alla sua direzione, una sezione cinema con l'obiettivo di realizzare documentari industriali a supporto dell'immagine pubblica dell'azienda (da notare la presenza di Tullio Kezich come soggettista e addetto stampa, e di collaboratori saltuari quali Parise e Pasolini). Circa 30 cortometraggi tra il 54 e il 59, poi nel 60 il primo lungometraggio Il tempo si è fermato (la cornice è quella di una diga in Valcamonica) nel quale Olmi sublima una tendenza che è ormai già caratteristica del suo operare cinematografico, quella di svincolarsi dalla didascalica rappresentazione di apparecchiature tecniche per dedicarsi agli uomini che vi sono preposti, ai loro problemi più intimi e reali quali la solitudine e l'alienazione, l'esigenza di comunicazione e di solidarietà.
Il film successivo, vera opera prima a soggetto (come tale premiata alla XXII Mostra di Venezia), è Il posto (61), amaro approdo di un giovane di origini operaie alla grigia sicurezza dell'ambiente impiegatizio milanese. Gli apprezzamenti internazionali, da Film Culture ai Cahiers du Cinéma, non distolgono Olmi dal rimanere ai margini della fagocitante industria cinematografica (tra l'altro ama essere egli stesso soggettista, sceneggiatore, responsabile della fotografia e del montaggio dei suoi lavori) al fine di proseguire nell'approfondimento delle sue tematiche 'semplici' e umane con I fidanzati (63), Racconti di giovani amori (67), I recuperanti (70), Durante l'estate (71).
Un momento a parte è costituito da E venne un uomo (65) tentativo non compiutamente risolto di rileggere la biografia di Giovanni XXIII, ma il valore del cineasta resta indiscutibile e con un'opera come La circostanza (74) si la più specifico anche il suo scavare nel malessere interiore del ceto borghese, analisi già intrapresa con discreti risultati in Un certo giorno (69). Dopo L'albero degli zoccoli, "non un film di rimpianti, ma il contributo al progetto di un futuro più mediato", Ermanno Olmi si è ora sbilanciato con Camminacammina in "una scommessa persa in partenza", un film "ammirevolmente fatto a mano nell'era della tecnologia e della specializzazione" (Kezich) ma decisamente ostico nella serietà iniziatica del tema (una riflessione sul messaggio della Natività, sui compromessi e le contraddizioni dell'umanità che l'ha accolto) e nella scarna impostazione stilistica, con un ritmo decisamente lento ed una strutturazione filmica arditamente affrancata dai consueti clichet di recitazione e verosimiglianza.