Orso
d'oro come miglior film alla Berlinale nel 2014, Orso d'argento come
miglior attore al suo protagonista Liao Fan. Troppa
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Fabio Ferzetti - Il Messaggero |
Sugli schermi del cinema e della televisione odierni le storie di crimine sono il genere largamente predominante; inflazionato, perfino, ma con varianti rare rispetto al repertorio già noto. Varrà la pena, allora, di fare la conoscenza con 'Fuochi d'artificio in pieno giorno, un noir diverso da tutti gli altri (...). Benché si tratti di un noir del tutto insolito, non è difficile riconoscere nei personaggi principali due figure archetipiche del genere nella sua declinazione occidentale: il detective disilluso e scorticato vivo, che vive sul filo del rasoio, e la donna fatale che porta gli uomini alla perdizione. E non fa meraviglia che un regista cinese, Ynan Diao, abbia citato in proposito esempi come i film con Humphrey Bogart, L'infernale Quinlan o Il terzo uomo (di cui il suo contiene una citazione palese ). A lui infatti, alla faccia di tutto il repertorio di squadre speciali e polizie scientifiche dei telefilm correnti, non interessa tanto la soluzione del caso criminale, quanto piuttosto i destini dei protagonisti, creature solitarie e marchiate dalla vita. Tuttavia la singolarità non risiede qui, e neppure in una certa attitudine a seminare false piste, o a mettere lo spettatore dinanzi a situazioni impreviste (i misteriosi fuochi d'artificio che esplodono sopra polizia e pompieri): sta invece nello stile visivo, fatto di immagini ipnotiche e magnificamente padroneggiate. In ambienti che variano dall'oscurità del carbone al nitore da brivido dei paesaggi ghiacciati, tra piste di pattinaggio, gallerie minacciose, locali notturni surreali come quello che dà il titolo al film, è tutto un susseguirsi di scene stupefacenti dove le immagini (nitide, interamente a fuoco, sempre attente a sfruttare la profondità di campo) fanno un mix di rara suggestione con un ambiente sonoro cui la regia non attribuisce importanza minore che a quello visivo. E qui si pone un potenziale - ma stimolante - contrasto tra le situazioni cupe, che tendono generare un progressivo turbamento nello spettatore, e una certa freddezza programmatica, o piuttosto un distacco stilistico che potrebbe essere scambiato per indifferenza morale. Perché il vero senso del film sembra risiedere, alla fine, nella folgorante cine-genia che il regista sa proiettare su un tessuto urbano fatiscente, tinto di colori estremi, trasfigurato da un uso delle luci geniale come ci è capitato raramente di vederne. |
Roberto Nepoti - La Repubblica |