I fiori di Kirkuk
(Golakani
Kirkuk)
Fariborz Kamkari -
Italia/Svizzera/Iraq
2010 - 1h 55' |
Avrebbe
stimolato la creatività del nostro Giuseppe De Santis di
Riso amaro, questa
vicenda a forti tinte storico-sentimentali imperniata su un potente
protagonismo femminile. In un colpo solo
I
fiori di Kirkuk
intende restituire risonanza e visibilità a due temi che i pregiudizi e la
diplomazia hanno lasciato in ombra: il ruolo sottovalutato della donna
nelle società mediorientali e la via crucis del popolo curdo. Un prologo,
collocato nei giorni del 2003 che in mezzo al giubilo videro cadere il
regime e le imponenti statue di Saddam Hussein, introduce al flashback -
in pratica l'intero film - che riporta indietro di quindici anni. Siamo
nel Kurdistan iracheno. Il Kurdistan è la vasta regione geografica abitata
da quella che è probabilmente al mondo la più numerosa nazione priva di
unità statale: le stime, assai imprecise, oscillano tra i 20, i 30 o
addirittura i 40 milioni di persone distribuite fra Turchia (solo qui si
parla di 15-20 milioni), Iraq settentrionale dove i curdi sono la
maggioranza della popolazione e costituiscono una grande minoranza etnica
rispetto alla totalità del paese, Iran, e in quantità molto minore Siria e
Armenia. Siamo alla fine della lunga e vanamente sanguinosa guerra con
l'Iran di Khomeini e all'apice di una campagna repressiva contro i curdi
che, come quella di settant'anni prima contro gli Armeni dell'Anatolia,
non esita ad adottare misure di sterminio di massa. In questo caso facendo
ricorso ad armi chimiche. Questo lo sfondo. In primo piano c'è Najla, una
ragazza araba di famiglia benestante e fortemente legata al regime, che ha
studiato medicina in Italia e torna per riunirsi a Sherko, suo compagno di
studi e innamorato. Ma Sherko è curdo e impegnato nella resistenza, si è
dato alla clandestinità e - per il bene di lei - non vuole più contatti
con Najla. La quale non si dà per vinta e, nella sua buona fede di donna
che ha scelto di rinunciare ai privilegi per collocarsi dalla parte delle
vittime, provoca involontariamente un sacco di guai. Soprattutto perché
intanto si è invaghito di lei Mokhtar, ufficiale dell'esercito di Saddam
in realtà di fede piuttosto blanda ma indotto a irrigidirsi dalla cieca
gelosia. Najla farà di tutto per riscattarsi, accetterà di collaborare,
rischiosamente, pur di rendersi utile come medico e come patriota. Il
regista Kamkari, girando il film nei luoghi veri, parla di cose che
conosce: egli stesso ha studiato in Italia dove vive e opera. E i tre
interpreti sono un'antologia di provenienze: marocchina l'attrice, uno
tunisino e l'altro curdo di Turchia gli attori. È un film che riveste la
sua importanza come esperienza culturale e produttiva allestita con
difficoltà su un terreno poco propizio, e riveste grande interesse per
l'argomento: come lezione di storia contemporanea. |
Paolo D'Agostini - La Repubblica |
Si
deve gratitudine infinita al regista curdo Fariborz Kamkari (oggi
residente e attivo in Italia) per avere avuto il fegato di raccontare il
genocidio del proprio popolo pianificato in Iraq alla fine degli Ottanta
dal dittatore Saddam Hussein. Anche se non si può dire che questa prima
coproduzione internazionale girata in Iraq dall'inizio della guerra nel
2003, adattata da un romanzo dello stesso autore classe 1971, e presentata
all'ultimo Festival del Film di Roma, sia un film particolarmente nuovo
nella forma: l'odissea della dottoressa costretta a scegliere fra i propri
sogni esistenziali e il rispetto delle tradizioni familiari e indecisa fra
i due uomini che aspirano a sposarla risulta, infatti, tanto coinvolgente
sul piano dell'onestà documentaria quanto approssimativa e ingenua sul
piano degli incastri drammaturgici e delle corrispondenze psicologiche. |
Valerio Caprara - Il Mattino |
promo |
Una storia
vera, ricostruita nei luoghi originari, in un paese come l'Iraq,
appena uscito dalla guerra e dove non esiste un'industria
cinematografica. Il racconto, che si svolge nel 1988, ha come
sfondo il regime di Saddam Hussein e la persecuzione nei confronti
del popolo curdo. Dentro la vicenda storica il regista, un curdo
iraniano trapiantato a Trastevere, racconta l'amore tra una
dottoressa araba all'Università di Roma, Najla, e il medico curdo
Sherko.
Dedicato a chi predilige i drammi raccontati con cognizione di
causa (il regista è un curdo scampato alle rappresaglie di Saddam)
e sa accettare quelle (volute) ingenuità formali che,
semplificando la storia, offrono emozioni nette e intense. |