Interpreti
straordinari ma non professionisti (tre le poche eccezioni Valerio
Mastandrea, il padre di Dafne). Lunga inchiesta pre sceneggiatura, scritta
a molte mani perché il verismo non esclude invenzioni e trovate. Massimo
rigore per tutto ciò che riguarda la vita dietro le sbarre - lavori,
stratagemmi, scambi di favori, sorveglianza, rapporti con l'esterno,
affettività esasperata - dunque massima intensità ai sentimenti. Compreso
quel misto di feroce rivalità e solidarietà totale che è tipico del
carcere. (...) Giovannesi non cerca la metafora, non ne ha bisogno.
Preferisce portarci per 112 minuti nella testa e nel cuore di Dafne (la
sbalorditiva Dafne Scoccia), ovvero farci condividere il suo istintivo
senso di assoluto, con inquadrature affilate come rasoi. Così ogni cosa
prende un valore nuovo, inaudito. (...) Un grande risultato ottenuto con
mezzi semplici..
La regista cerca una via ibrida e nuova, che annulli i confini
temporali della storia, ma incrocia troppi sentieri e finisce
disastrosamente fuori strada. Wes Anderson e Charles Laughton, persino il Fritz Lang del
Covo dei contrabbandieri (per
la scena della fuga all'alba via mare), prestano alla Donzelli delle
suggestioni comprensibili, che finiscono però per passare da un
trattamento che rischia di degenerare nel kitsch con una recitazione
non sa decidere tra il melodramma e la stilizzazione estrema.
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Fiore
(...) è la sorpresa felice di metà festival insieme alla conferma del
talento di un giovane regista tra i migliori delle nuove generazioni. E
non era semplice con una storia (...) che porta con sé un rischio
altissimo di banalizzazioni: gli adolescenti, la prigione, la perenne
tensione tra i ragazzi e gli «educatori»: uno spazio delimitato da regole
rigide e continui imprevisti di ribellione. Ma Giovannesi per raccontare
gli adolescenti ha un tocco speciale e come raramente accade ne sa
restituire con fluidità gesti, parole, orizzonti (...). Non solo.
L'allenamento nel documentario lo ha reso capace di mantenere in
equilibrio luoghi (qui studiati con cura) traiettorie emozionali, corpi e
scrittura, il romanzesco e la realtà. Eccoci così nel carcere minorile
insieme a Daphne, che è lei trascinare sempre la macchina da presa
incollata ai suoi gesti nervosi, agli occhi che divorano il mondo, alla
sua pelle, al suo odore, prova di grandissima attrice per una non
professionista (come quasi tutti gli altri), Daphne Scoccia, che
attraversa spavalda e fragile tutto il film. (...) Ma non è un film
carcerario
Fiore,
pure se della letteratura di «genere» molto conserva e con precisione
nella sua vita «dentro» scandita mese dopo mese, chi esce e chi arriva, le
iniziazioni e gli equilibri disperati da mantenere, le rivalità, il sesso
tra compagne di cella, la solitudine. È soprattutto una storia d'amore, la
rabbia giovane di una ribellione che è vita e desiderio, un «ragazzo
selvaggio» in una corsa appassionata e senza un orizzonte. Giovannesi
dispiega con delicatezza tutte le sfumature sentimentali e con la sua
regia fisica (e mai compiaciuta) sfugge a qualsiasi «gabbia» di scrittura.
È bravo, bravissimo a guidare i suoi protagonisti, a filmare le loro
lacrime, a commuoverci, a coinvolgerci. Tutto è giusto ma la sua
commozione (...) non è mai programmatica: nasce dal suo sguardo e
dall'amore che mostra verso ciascuno dei suoi personaggi. Daphne non la
lascia mai, è sempre lì nello spazio di un'inquadratura potente, concreta,
che in questa prossimità alla trascendenza dei primi film dei fratelli
Dardenne preferisce la carezza della complicità. (...) E rispetto al
personaggio di Daphne come con tutti gli altri nelle cui esperienze,
almeno in alcune, la storia si mischia al vissuto, Giovannesi è sempre
sullo stesso piano. Non c'è giudizio né commiserazione perché, appunto,
lui li ama, ama la loro voglia di sognare, quel mondo che si prendono
senza pensare a cosa accadrà, se ci sarà un prezzo che tanto hanno sempre
pagato. E quando usciamo dalla sala ce li portiamo dietro, con la loro
meravigliosa irriverenza che li rende quasi dei sovversivi, segni di un
tempo universale e di un cinema che sa ancora essere vivo.
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