Il figlio di Bakunin |
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fra cronaca e storia per un pezzo
di Sardegna sconosciuta, o meglio per un personaggio sardo che più
che alla cronaca sembra ambire alla leggenda, nella la rappresentazione
di Il figlio di Bakunin firmata da Gianfranco Cabiddu. Il protagonista,
Tullio Saba, è infatti un'invenzione letteraria (dal romanzo omonimo
di Sergio Atzeni), ma il racconto cinematografico è costruito come
una suggestiva inchiesta giornalistica con tanto di personaggi che guardano
in macchina, parlano dei loro ricordi, rievocano la storia dell'isola a
partire dal 1930. Il racconto inizia in quegli anni, in un paesino di minatori
dove Antonio Saba è un ricco calzolaio che rifornisce di ottime
scarpe la direzione della miniera e tutti i suoi lavoratori. E' un anarchico
bizzarro, tira colpi di fucile la notte di Natale, grida che ospiterebbe
volentieri Bakunìn e con lui brucerebbe le chiese. E Bakunìn
è proprio il soprannome con cui tutti lo conoscono, appellativo
nient'affatto benvisto dal nuovo responsabile della miniera, un fascistone
che lo estromette dal rifornimento di scarpe e lo butta sul lastrico. E'
il figlio Tullio a trovarlo impiccato ed è davanti a quel corpo
inerme che il ragazzo capisce che la sua esistenza non potrà più
continuare tra agi e raffinatezze borghesi. Lo aspetta la vita in miniera
ed è in quell'ambiente che egli troverà le sue amicizie si
farà conoscere per quello che vale, impegnato nella difesa della
qualità del lavoro e nelle conseguenti lotte sindacali. Tullio assiste
all'uccisione del direttore (assassinato proprio da uno dei suoi compagni),
partecipa ai quarantatré giorni di sciopero a Carbonia, è
licenziato e, forse eroe di guerra, forse imboscato, vive alfine suonando
in un banda che alterna canzoni popolari e jazz. Gli ultimi anni sono descritti
con minor precisione cronachistica (le testimonianze su di lui sono spesso
discordanti), ma il percorso storico attraverso la Sardegna del dopoguerra
resta delineato proprio attraverso le supposizioni sulla vita di Saba adulto:
dedito al mercato nero, candidato ed eletto alle elezioni del 53, impegnato
nel risanamento dopo l'alluvione (ma non si fece anche i suoi personali
interessi?). La sua aura di uomo bello e affascinante passa attraverso
la passione per una donna sposata durante il lavoro alla miniera, trova
ostilità nelle serenate notturne per lo sfortunato corteggiamento
di Edvige, si stempera a Cagliari, dove ha una relazione con Carla ed è
accudito dalla giovane Maria che lo ama segretamente e lo accompagnerà
fino alla morte (ma c'è chi dice che sia fuggito, pieno di soldi
in Perù!). Mitizzato e rimpianto (nel finale l'immaginario intervistatore prende il volto di un giovane, figlio suo e di Carla) Tullio Saba incarna l'anima di una Sardegna combattiva e leale e Caribbu sa incorniciare luoghi e personaggi con sicura eleganza e un tocco nostalgico che solo talvolta deborda nello stucchevole (l'influenza di Tornatore - produttore - si sente, nel bene e nel male). Vanno in ogni caso apprezzate l'originalità dell'impianto narrativo, la scorrevole veridicità degli interpreti e la piacevole dimensione pseudo-storica che amalgama finzione e memoria popolare, certo più sincera e personale di quelle di Martinelli e Virzì. e.l. La nuova Sardegna - 4 settembre 1997 |