L'età d'oro
Emanuela Piovano - Italia/Francia 2016 - 1h 34’



 

  Dopo decenni d'incomprensioni e liti con la madre Arabella, dovuti a un modo di vedere e affrontare la vita che da bambino non poteva accettare, Sid è chiamato a tornare alle sue radici. Dalla Torino savoiarda sarà costretto a spostarsi nell'allegra e naïf comunità pugliese in cui si trova Arabella. Ma il vero viaggio all'interno della vita e dei ricordi della madre e degli amici che hanno colorato le giornate della sua infanzia, faranno capire a Sid che l'amore di una mamma può avere mille sfumature e che la stessa Arabella è stata una, dieci, cento donne differenti. Tutte generose, tutte valorose. È stata la regista, la femme fatale, l'amica, la fondatrice dell'arena cinematografica e dei suoi festival, l'anima del paesino nel quale vive da anni. Sid, però, ha conosciuto e capito la vera natura di quell'ammaliante e brillante figura troppo tardi. Eppure Arabella neppure in questo caso si comporterà in maniera banale. Anzi, sarà proprio lei a stuzzicare, rimbrottare e guidare suo figlio alla scoperta di quella figura tanto combattuta e poliedrica.

   Il titolo fa riferimento ai mitici anni ‘60, un periodo che, anche nel cinema, è stato sinonimo di creatività, libertà, trasgressione. Tutte cose incarnate da Annabella Miscuglio, regista, organizzatrice culturale, cofondatrice del cineclub romano Filmstudio. L’età d’oro è insieme un omaggio, una dichiarazione d’affetta e un risarcimento nei confronti d’una cineasta che ha davvero segnato un’epoca.
La protagonista Arabella, affascinante, sfuggente e poliedrica, esercente d’una piccola arena in un paesino della Puglia, è esplicitamente ispirato alla figura di Annabella Miscuglio. Così come fa riferimento alla realtà il difficile rapporto della protagonista con il figlio, di cui Emanuela Piovano, la regista del film, è stata diretta testimone. Tuttavia
L’età d’oro è tutt’altro che un biopic, piuttosto un film fiabesco, immerso in un’atmosfera trasognata, segnato da dialoghi forse un po’ troppo sentenziosi, ma da una messa in scena raffinata, che lo distingue dal più consueto realismo della produzione nazionale. La trama è imperniata su un doppio viaggio, fisico e psicologico: dopo la morte della madre il figlio di Arabella, Sid, approda da Torino in Puglia con l’intenzione di disfarsi dell’arena che la donna aveva gestito per anni. Tuttavia il viaggio diventa per Sid l’occasione per conoscere il variegato mondo che ruotava attorno alla madre, e riconciliarsi con il proprio vissuto e soprattutto con lei.
Come tutti i film che ruotano attorno alle sale cinematografiche, da
L’ultimo spettacolo di Bogdanovich a Nuovo Cinema Paradiso di Tornatore, da Splendor di Scola a Via Paradiso di Odorisio, L’età d’oro racconta con nostalgia e rimpianto un mondo fatalmente scomparso, quando il cinema era una passione assoluta, perfino capace di sovrapporsi ad ogni altro possibile affetto.

Franco Montini - Viviilcinema

   Il giovane professionista Sid torna nel Sud d'Italia sulle tracce della madre Arabella, con cui ha vissuto una relazione tempestosa. Arabella è stata una pasionaria del cinema, regista di film sperimentali e animatrice di cineclub, oltre che di collettivi femministi e assortiti gruppi sessantottini. Come mente creativa e focolaio culturale era un magnete per chiunque le orbitasse intorno, e che rappresentasse un settore dell'apparato politico e culturale del suo tempo: la giornalista, il giudice, l'architetto, il prete. Ma si è anche ritrovata al centro di una corte dei miracoli che le ha succhiato energia e denari.
Come madre, Arabella si è rivelata amorevole ma assente, ben intenzionata ma distratta, e il figlio Sid ha vissuto con gelosia e risentimento quel suo essere sempre circondata da uomini (e donne) innamorati di lei e affamati delle sue attenzioni. Dunque Sid ha cercato di crearsi una vita lontano dalla madre e dall'arena estiva che è diventata il suo luogo simbolo, e che Arabella ha chiamato L'età d'oro in omaggio al film di Bunuel. Sid ha anche scelto di tenersi alla larga dalle passioni materne totalizzanti ed estreme, a cominciare da quel suo amore matto e disperatissimo per la Settima arte.
Attraverso la figura di Arabella Emanuela Piovano racconta quella di Annabella Miscuglio, di cui è stata assistente, ammiratrice e ospite in una casa frequentata dagli artisti del suo tempo, da Mario Schifano a Jean-Luc Godard, da Alberto Grifi a Dominique Sanda. La sceneggiatura del suo film è basata su L'età dell'oro di Francesca Romana Massaro e Silvana Silvestri ed è firmata, oltre che dalla regista e dalle due autrici del romanzo, da Gualtiero Rosella: una storia imbevuta di nostalgia per un tempo - l'età dell'oro dell'impegno politico e culturale, per chi ne è stato protagonista - foriero di sogni ma anche di grandi illusioni destinate a crollare e, in molti casi, a trasformarsi in pragmatico cinismo. Per Arabella invece quel cinismo non è mai arrivato, lei ha continuato a difendere i propri ideali e le proprie convinzioni che hanno trovato il loro tempio pagano nell'arena estiva dove, a poco a poco, vediamo oggi radunarsi tutti gli amici e gli amanti del passato, sotto lo sguardo amorevole e devoto di Vera, assistente di Arabella e sua vestale.
Emanuela Piovani riversa nel suo film tutto l'amore e la gratitudine verso Annabella Miscuglio e invita gli spettatori al ricordo di un'epoca della quale molti hanno fatto parte credendoci davvero e assistendo con strazio al suo tramonto. Di questa saudade crepuscolare è imbevuta la sua storia, e l'arena estiva è una perfetta cornice sentimentale entro cui far muovere figure che, invece, diventano troppo fortemente simboliche. La scelta di mantenere la camera fissa per le scene ambientate nella contemporaneità crea infatti un effetto "teatro dei pupi" che da un lato è funzionale alla storia che si racconta, dall'altro rende bidimensionali, e in qualche misura banalizza, i personaggi che la popolano. Per contro gli home movie e i film sperimentali girati da Arabella sono (volutamente) più vivi e mobili, "fluttuanti a somiglianza della vita", e carichi di quell'energia che il tempo e l'età hanno prosciugato.
La parte narrativamente più debole del film restano gli incontri fra Arabella, ben interpretata da Laura Morante pur con una improbabile parrucca, e Sid, dove la declamazione retorica sostituisce il dialogo spontaneo. La parte più poetica è invece quella che vede protagonista il cineclub con le sue file di sedie a scatto e le sue scritte al neon, un Baghdad Cafè che si erge ostinatamente a baluardo della memoria nel deserto postsessantottino. È autentico il rimpianto per un tempo in cui "il cinema funzionava" e chi ci lavorava, in qualunque capacità, riusciva "ad avere di che vivere"; è palpabile l'amarezza di Sid quando rimprovera la madre perché la sua generazione ha costretto quella dei giovani a fare "quello che possiamo, non quello che scegliamo di fare, perché voi quella scelta ce l'avete tolta".
C'è qualcosa di polveroso e di antico in
L'età d'oro che è al contempo la sua cifra espressiva e il suo tallone d'Achille, sempre in bilico fra vecchio e vintage, obsoleto e postmoderno, conservatorismo e rottamazione. In questo senso il film mostra una coincidenza perfetta tra forma e contenuto, uno charme retrò che intenerisce e commuove. Ma il pubblico contemporaneo, abituato ad altri ritmi e ad un piglio narrativo più deciso, potrebbe non riuscire a superare il distacco, e il disincanto.

Paola Casella - mymovies.it




promo

Laura Morante interpreta una pasionaria del cinema che lotta per tenere in piedi un'arena cinematografica che ha restaurato e che da anni programma quotidianamente con i film che più ama. Una passione totalizzante, mal vissuta dal figlio (Dil Gabriele Dell'Aiera), diverso da lei in tutto.  Ispirato all'omonimo libro di Francesca Roana Massaro e Silvana Silvestri, il film ha preso spunto dalla figura della pugliese Annabella Miscuglio, tra i fondatori del Filmstudio e ideatrice, nel 1976, di Kinomata, il primo festival che parlò al mondo della regia femminile. Segnato da una messa in scena di raffinata eleganza e immerso in un’atmosfera trasognata, L'età d'oro racconta con nostalgia e rimpianto un mondo fatalmente scomparso, quando il cinema era una passione assoluta, perfino capace di sovrapporsi ad ogni altro possibile affetto.

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LUX - aprile 2016

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