Tutto
il senso di
Essential Killing
è già racchiuso nel titolo. Essenziale, uccidere: le due parole chiave
della storia. Skolomowski riduce al minimo l’intreccio portando lo
spettatore all’interno di un viaggio, di un’esperienza che, per quanto
muova i passi da un dato storico-politico, rimane scevra da ogni
giudizio di parte. La cornice politica è chiara, ma è altrove che si
trova il significato più profondo del film.
Mohammed (Vincet Gallo), talebano, viene catturato dall’esercito
americano in Afghanistan e portato in Europa. Lungo il viaggio verso
il carcere, la vettura dove è trasportato subisce un incidente, per
Mohammed significa la fuga. Si ritrova così ‘libero’ e fuggitivo.
L’aridità del deserto lascia il posto al biancore delle foreste
innevate mentre la causa bellico-politica del suo scappare sfuma
all’interno di un'altra dimensione, quella della lotta per la
sopravvivenza. Pur rimanendo il motivo drammatico di fondo la fuga del
prigioniero, la tensione si sposta su un piano più intimo,
depoliticizzato quasi, in cui perde importanza sapere chi è Mohammed,
se è colpevole o no. Ciò che interessa è seguirlo in una lunga prova
di resistenza in cui i tratti di bestialità sono di volta in volta
delineati poiché atti a ridisegnare costantemente i ruoli di preda o
predatore.
Essential Killing
è dunque una storia sull’Uomo e sulla Natura, un’avventura estrema
(nel senso di lotta contro la morte) di animalità e umanità tra l’uno
e l’altra. L’uomo, privato di tutto e catapultato da un deserto
all’altro, rimane solo con se stesso in balia del proprio istinto di
sopravvivenza. Le coordinate spazio-temporali vengono a saltare, il
dialogo non esiste, la prova di resistenza si inasprisce: è la lotta
del singolo contro il Tutto. Al di là della ragione politica sullo
sfondo, le prove della colpevolezza di Mohammed come terrorista
rimangono fuori scena, eppure può essere Mohammed definito un eroe? Al
regista poco importa delineare politicamente i confini di chi è la
vittima e di chi il carnefice, il nervo centrale del racconto sta
nella lotta per la vita. Ma non solo di Mohammed. Dei suoi nemici,
della gente che incontra occasionalmente durante l’errare in fuga e,
non da ultimo, degli animali. Ciò che interessa è dunque coinvolgere
lo spettatore all’interno di questa sfida con la natura, laddove
uccidere perde ogni valenza politica e diventa un essential killing,
appunto: un uccidere per salvare la propria vita.
Il film non è tratto da una storia vera, ma il ritratto che offre non
è lontano dalla realtà che la "sua" Polonia – dice il regista – sta
vivendo in questi anni. Skolomowski infatti muove i passi dal dato di
fatto del militarismo americano in territorio polacco. “Gli aerei
dell’esercito americano atterrano a meno di venti kilometri da dove
abito”. Velato e sullo sfondo, il tono di denuncia però si
percepisce. “L’esistenza in Europa di postazioni segrete della CIA
per la guerra al terrorismo ad opera del governo americano rimane una
controversia. A nessun organismo politico polacco è permesso sapere
qualcosa circa gli aerei americani, eppure la loro presenza è un dato
di fatto grazie anche alle indagini del Parlamento Europeo”,
racconta Skolomowski. La portata del soggetto è certo complessa,
dunque, ma l’intento non è quello di un’aperta denuncia politica, né
la struttura drammatica è quella di un film militare. Nessun punto di
vista imposto a priori, quindi, ma piuttosto un voler mettere lo
spettatore nelle condizioni di scegliere da che parte stare e questo
spogliando il presunto colpevole di ogni arma, di ogni difesa. Non si
tratta della dualità tra americani e afgani pertanto, o meglio, non
per qualcosa di più di un pretesto, semmai di un continuo depistaggio
dai giudizi più immediati e di un continuo rinnovarsi dell’idea che in
guerra come nella brutale sopravvivenza ciascuno diventa, insieme,
preda e predatore.
Vincent Gallo è in questo caso il simbolo di questa dualità. Un film
tutto incentrato sulla fisicità dell’attore, sulla sua presenza
scenica, sul movimento e sul gesto. Per nulla sulla parola. Magistrale
la fotografia, promossa ad una sorta di deuteragonista. Le riprese
della prima parte del film – ambientata nel deserto afgano – di fatto
hanno avuto luogo vicino al Mar Morto in Israele, mentre la seconda
parte – che si immagina ambientata in un non ben precisato paese
dell’est Europa – è stata girata in Polonia e in Norvegia ed è
nell’inverno di questo paese imprecisato che il misto di dramma e
poesia di
Essential Killing
trova la sua massima espressione. Simbolico poi il finale.
Sull’immagine di un cavallo bianco (animale-emblema di certo cinema
dell’est Europa. Si pensi a Wajda, a Zanussi, o, con le dovute
differenze, a Tarkovskij) sporco di sangue si chiude il viaggio del
‘nemico del nemico’.
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