Sulle code di una stagione cinematografica esausta, ma infinita, si aggirano, come spettri tra i blockbuster americani, due film francesi, per di più d'autore. Che parlino della Parigi ai tempi della Restaurazione, La Duchessa di Langeais di Jacques Rivette, o della Parigi ai tempi dell'Aids, I testimoni di André Téchiné, sembrano essere, nel contesto di questa estiva distribuzione di maghi ribelli e robot intergalattici,opere «esotiche», a noi non più contemporanee. Eppure ben più dicono del nostro tempo, con il loro snobismo letterario e cinematografico, di quanto lo facciano lo sguardo dei furbetti e il chiasso dei roboanti. André Téchiné dice di un passato recente, gli anni ottanta, mentre Rivette ritorna alla Francia del 1843, in piena Restaurazione, adattando, con fedeltà intrigante e ossessiva, La Duchesse de Langeais di Honoré De Balzac, terzo romanzo della trilogia La storia dei tredici (che comprende Ferragus e La ragazza dagli occhiali d'oro). Il titolo originale del film, inizialmente scelto da Balzac, è Ne touchez pas la hache (Non toccate l'ascia), ed evoca l'aneddoto del guardiano di Westmister che minacciò con questa espressione un visitatore curioso della lama che decapitò Carlo I. La stessa frase la dice il protagonista del film, Amran de Montriveau (Guillaume Depardieu), generale bonapartista, alla Duchessa di Langeais (Jeanne Balibar) di cui è follemente innamorato quando, guardandole il collo ed esasperato per il continuo tira e molla della nobildonna, l'avverte che è pericoloso scherzare con il fuoco. Lui è un ombroso ed eroico ufficiale appartenente alla società occulta «dei Tredici», lei è una frivola parigina, vittima dei costumi della sua società e delle apparenze religiose, la loro storia d'amore è falsa quanto il tempo che vivono. Gioco di seduzioni per la duchessa, patto d'amore eterno per il generale. Rivette, insieme agli storici sceneggiatori Pascal Bonitzer e Christine Laurent, costruisce un melodramma amoroso che diventa sottesa allegoria politica della Restaurazione di allora e, chissà, anche di quella di oggi. E racconta il limbo affettivo in cui la duchessa lascia sospeso il generale per «piani sequenza», lunghe pennellate, come onde lente, quasi immobili, in cui si può percepire, per differenza, ogni minuscola increspatura, ogni variazione di tensione.. |
Dario Zonta - L'Unità |
i giovedì del cinema invisibile TORRESINO ottobre-dicembre 2007