Piove su
Seattle mentre, nel prologo, una bimba aspetta davanti all'asilo la mamma
che non arriva. Piove di continuo a Roosevelt Island, periferia di New
York, dove la bimba, cresciuta sposata e separata, si trasferisce con la
figlioletta nell'appartamento di uno stabile degradato. E piove in casa:
acqua sporca dal soffitto, su cui una macchia gocciolante s'allarga sempre
più. E' un film da vedere in un giorno di pioggia
Dark Water,
elegante reimpaginazione del cult giapponese dallo stesso titolo diretto
da Hideo Nakata. Nell'appartamento avvengono strani fenomeni, sempre più
arcani e inquietanti. Come ogni eroe del
cinema
"fantastico", mamma Dahlia cerca dapprima spiegazioni razionali; poi deve
accettare il soprannaturale. C'è un fantasma nello stabile, ed è quello di
una bambina dell'età di sua figlia: la donna sarà costretta ad affrontare,
contemporaneamente, il piccolo spettro e i demoni del proprio passato.
Parafrasare in versione occidentale uno dei film-chiave del nuovo horror
giapponese era, a priori, rischioso, per la perdita di atmosfera che ne
sarebbe - inevitabilmente - derivata: i film di Nakata sono serie B
"sporche" e ossessive, e proprio in ciò consiste la fascinazione che
emanano. Ma che c'azzeccava
Walter Salles (I
diari della motocicletta), con un
repertorio codificato come quello delle storie di fantasmi giapponesi?
Invece non delude affatto. La prima parte rifà quasi scena per scena il
modello; ma il seguito se ne emancipa in diverse direzioni, a cominciare
dall'introduzione di una serie di personaggi maschili borderline. Cosa
che, se da una parte indebolisce la portata emotiva del soggetto (la
solitudine della donna), dall'altra, si presta a ottime caratterizzazioni:
Tim Roth come avvocato altruista; Peter Postlethwaite nella parte dello
scorbutico portiere; John C. Reilly in quella del laido amministratore di
condomini. In più, Salles non forza mai la mano, preferendo installare
nello spettatore un panico "light", ma costante, senza ricorrere agli
effetti facili.
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