Polonia
1926. A Kalwaria si celebra la rappresentazione del Mistero della Passione e tra
la folla inginocchiata sulla neve il piccolo Karol Wojtyla assiste estasiato ad
una «storia» per lui affascinante, per il suo popolo fonte di vita e di forza
fiduciosa («c'è la speranza oltre che la profezia nella nostra storia»
sentenzierà più avanti un pio sacerdote di fronte all'arroganza nazista). Non
gli tornano troppo i conti quando, giunta la notte, vede «il Cristo» bere birra
con gli amici all'osteria; ma forse percepisce già il sottile legame tra
finzione e realtà, tanto che poi, da giovane, troverà il tempo per dedicarsi
all'esperienza teatrale oltre che agli studi teologici e, superata la soglia
della maturità, ormai consacrato al mondo quale Papa Giovanni Paolo II, arriverà
a «riproporre la rappresentazione» rinnovando il mistero cristiano nella messa
celebrata a Cracovia nel 1979, di fronte alla «sua» Polonia, più che mai avviata
in un cammino di impegno e di fede. Le immagini iniziali (col «crescere» della
macchina da presa-anelito umano fino alla sommità della grande betulla, ad
«osservare» la processione) e quelle conclusive (con un impeccabile montaggio di
campi e controcampi che immette i personaggi della finzione cinematografica
nella realtà partecipe dell'incontro eucaristico di Papa Wojtyla con la folla)
sono le parti più belle di un film «difficile» sotto tutti i punti di vista:
difficile per lo stridio dì un'impresa agiografica su di un Pontefice non sempre
ben visto dal mondo laico per la sua «eccessiva» presenza massmediologica (forse
per questo la RAI non aveva voluto esporsi troppo come promotrice); difficile
poiché, consequenzialmente «coinvolta» nella storia polacca, la pellicola ha
dovuto esporsi ad una severa condanna alle repressioni non solo passate (e
quindi storicamente accettabili), ma pure presenti (cioè politicamente
sgradite). Difficile, infine, perché affidata ad un regista esperto nel proporre
valori umani per astrazione ed assenza, non per calorosa tangibilità sociale.
Zanussi, «costretto» a prendere in mano il progetto («quando ho capito che
altrimenti lo avrebbe girato un americano...»), stimolato dal proseguire il
discorso cinematografico popolare orchestrato da Wajda, orientato ad un
parallelismo stilistico con l'Andrei
Rublev di Tarkovskij, ha tentato di evitare l'agiografismo
e la retorica costruendo un «affresco corale» ìntorno alla vita del Papa,
intrecciando le tappe del suo iter al pontificato (l'ordínazione durante la
guerra, gli studi in Italia, Francia e Belgio, l'arcivescovato a Cracovia, la
partecipazione al Concilio Vaticano Il) con gli eventi salienti dell'ultimo
cinquantennio della nazione polacca.
Così dal 1926 si passa al 1939 con l'occupazione tedesca, l'atmosfera di
tensione per le strade (1940), quella di disperazione e tragedia nei campi di
sterminio (Auschwitz 1941: il sacrificio di padre Kolbe). Poi l'evacuazione del
1945, con il ritorno e il tratteggio definitivo dei vari personaggi chiave,
amici passati (l'attività teatrale) e futuri (l'impegno culturale e sociale di
libertà) di Karol Wojtyla: Tadek (Christopher Cazenove), ex partigiano, dapprima
si uniformerà all'inquadramento comunista, poi si riscatterà come scrittore
«carismatico», perseguitato dalla censura ma aiutato dalla ricchezza d'animo
della moglie Wanda (Lisa Harrow), appassionata attrice teatrale che ha dovuto
rinunciare al palcoscenico per non dover sottostare ai compromessi di regime. Il
di lei fratello Marian (Sani Neill) si fa sacerdote e diventa parroco di Nowa
Fluta dove l'operaio WIadek (Warren Clarke) subisce le vessazioni del potere ma
si consola nel vedere il fecondo legame tra suo figlio Stefan (Andrew Seer) e
Magda (Emma Relph), che sanno maturare in chiarezza di ideali e di religiosità.
Tutti sono accomunati dalla ricerca della verità e della giustizia prima, della
coerenza nella fede poi; tutti quindi sensibili alla figura ed all'influenza
apostolica di Wojtyla (Cezary Morawsky), che centellina le sue apparizioni, ma
che sa ugualmente esprimere la sua ormai conosciuta profondità umana e religiosa
quando ricorda a Tadek, prossimo al matrimonio, che «cuore nel linguaggio
della teologia è lo stesso che persona, e persona nel linguaggio dell'etica è
verità nel linguaggio che Dio».
Intanto, appunto, verso la fine degli anni quaranta, è cominciata, su iniziativa
del governo, la costruzione della «città del popolo» di Nowa Huta, che cresce in
sintonia con la presa di coscienza della Polonia della propria situazione
sociale (la soffocante egemonia sovietica): arriva la morte di Stalin (53), il
periodo di maggiore intransigenza politica (fino al 56), e con essa i nuovi
attriti, come la «lotta per la croce» che il partito non vuol vedere eretta nel
quartiere modello. Ma sarà proprio l'arcivescovo Wojtyla a riportare dal
Concilio (62-65) una pietra della Basilica di San Pietro per le fondamenta della
Chiesa della Santa Vergine a Nowa Fluta, solennemente inaugurata nel maggio del
77, sette anni dopo gli scioperi di Danzica, un anno prima dell'ascesa al sacro
soglio del cardinale Wojtyla come Giovanni Paolo II, il primo Papa non italiano
dopo quattrocento anni. È guidata da uno sguardo commosso la ricostruzione
cinematografica dell'esultanza di quei giorni in Polonia, ma ancor più pregnante
e rappresentativo appare il momento della celebrazione del 10 giugno '79 nel
Blonie di Cracovia, cui si accennava prima: anche perché il ritorno di Karol
Wojtyla tra la sua gente è suggello personificato del verace impulso rinnovatore
nella svolta politica polacca di questi anni, è segno provvidenziale del cammino
comune, del singolo e dei popoli, nel progetto divino.
Non si può dire in onestà che l'intenzione contenutistica, la fusione tra
vicende umane e religiose, tra la rispettosa ellissi agiografica e la fervida
rievocazione storica raggiungano sempre quell'equilibrio artistico che una
severa lettura critica richiederebbe presente: talvolta l'agiografismo rispunta
con enfasi (logicamente, d'altra parte, visto il personaggio) e la retorica e il
semplicismo nuocciono ad un quadro della storia europea (polacca in particolare)
davvero stimolante nella completa omogeneità. Così i bozzetti dei vari
personaggi possono cadere nel patetico e si può eccepire persino sul trucco e la
recitazione degli attori professionisti, sulla padronanza delle scene di guerra.
Ma la vissuta sincerità che pervade ogni sequenza, ogni fotogramma va al di là
degli imprecisi riscontri stilistici e l'afflato di una coralità popolare, che
vive la propria tradizione non come limite ma come essenza di rinnovamento, sa
essere «sale e lievito» in ogni frangente. L'assunto intimo, insomma, riesce a
reggere pienamente la struttura globale ed anzi l'appello universale che ne esce
acquista ancor più valore se viene considerato scevro dalla «scontatezza» (con
cui si offre a chi come noi già conosce per vicinanza logistica ed affinità
spirituale l'humus della vicenda) e rivisto quale splendido messaggio
divulgativo di una sensibilità «nazionale», di una apostolicità individuale e di
un disegno ecumenico che non tutti, per scarsa informazione o cattiva volontà,
sembrano conoscere e capire appieno.
ezio leoni
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Espressione
Giovani settembre-ottobre1982
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Regia: Krzysztof Zanussi. Sceneggiatura: A. Kijowski e J.J. Szczepanski; da
un'idea di Diego Fabbri. Adattamento: David ButIer. Fotografia: Slawornir Idziak.
Musica: Slawornir Kilar. Scenografia: janusz Sosnoz (Wanda), Warren Clarke
(W1adek), Maurice Denharn sky. Costumi: Anna Biedrzycka Sheppard. Montaggio: (Sapieha),
jonathan Blake (Giosuè), Enuna Relph gio: A. Gibbs, B. Blunden e P. Honess.
Consulente (Magda), Andrew Seear (Stelan), Cezary Morawski artistico: Gastone
Favero. Interpreti: Sam Neill (Ma (Karol Wojtyla). Italia Gran Bretagna 1981.
(Durata: rian), Christopher Cazenove (Tadek), Lisa Harrow 140').
Sceneggiatura:
A. Kijowski e J.J.
Szczepanski, da un'idea di Diego Fabbri
Adattamento: David
ButIer
Fotografia: Slawomir
Idziak. Montaggio:
Liesgret Schmitt-Klink.
Tecnico del suono:
Werner Maier. Musica: Wojciech
Kilar eseguita dalla Rundfunk Sinfonie-Orchester di Saarbrucken diretta
da Halmut Fackler. Art director: Friedhelm
Bóhm. Costumi:
Anna Biedrzycka-Sheppard.
Produttore: UIrich
Nagel. Produttore esecutívo:
Peter Wohlers. Casa di produzione:
Telefilm Saar GmbH / Saarlaendischer Rundfunk.
Interpreti:
Robert Powell (Augustin), Brigitte Fossey (Yvonne), Sigfrit
Steiner (il professore), Matthias Habich (il teologo), Leslie
Caron (madre di Augustin), Jan Biczycki (il prete), Zbiegniev
Zapasiewicz (lo psichiatra), Eugeniusz Priwiezienzew (un paziente),
Christoph Eichhorn (lo studente), Hans-jórg Frey (l'assistente).
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