Uno
dei più significativi film
noir
americani degli anni '40: girato interamente in ambienti reali per
le strade di New York, fra la gente comune, infrange la tradizione
codificata del genere privilegiando un assetto semi documentaristico
(senza però contraddire, come vedremo, l'assunto fondamentale alla
base del sistema-noir), rivaluta la figura del poliziotto "istituzionale"
(rispetto a quella romantica del detective free lance ispirata dai
romanzi di Hammett e Chandler e appena rivisitata, allora, da Huston
e Hawks rispettivamente in
Il mistero del falco,
1941 e Il grande sonno,
1946, considerati da sempre, e a ragione, capisaldi irrinunciabili
della stagione d'oro del genere), rende protagonista l'intera città,
i suoi quartieri, i suoi abitanti, l'ambiente sociale composito e
ricco di forti contraddizioni di una metropoli di (allora) otto milioni
di abitanti, come viene ricordato dalla voce fuori campo del narratore
onnisciente che accompagna tutto lo sviluppo del racconto.(...)
Colpisce innanzitutto, fin dall'incipit, il taglio rigorosamente
realistico della rappresentazione: mentre tutti i film noir precedenti
erano ambientati in interni ridotti, angusti o in strade deserte rese
in modo espressivo dall'illuminazione e dal taglio delle inquadrature,
qui vengono date in successione diverse vedute della città attraverso
prospettive oggettivate, apparentemente neutre. Con un tono
descrittivo ci si sofferma sugli anonimi ambienti di lavoro, sulle
situazioni abituali, consuete della vita notturna, prima di giungere
all'illustrazione del doppio atto criminoso che conclude la prima
sequenza del film e dà il via all'azione della detection, cioè allo
sviluppo narrativo del film. Va rilevato l'impianto naturalistico
della fotografia di William Daniels, attento più a rendere la
molteplicità degli elementi presenti nello spazio raffigurato che ad
esaltare i feroci contrasti luce/tenebra tipici del genere (ottenibili
soltanto facendo ricorso alle riprese in studio e al controllo
assoluto del set), qui impiegati solo episodicamente e in modo
funzionale all'azione drammatica (nella visione frammentaria del primo
omicidio e nell'eliminazione del complice da parte dell'assassino, ad
esempio). La macchina da presa viene portata per le strade, opera
attraverso ampi sguardi, limitati movimenti e precisi raccordi di
montaggio, riprende con attenzione tutti gli aspetti della vita
quotidiana, anche quelli fino ad allora trascurati dal cinema
hollywoodiano, si sofferma su dettagli ordinari dell'esistenza (il
risveglio al mattino, i giochi dei ragazzi, il via vai della gente nei
bar e nelle botteghe): una novità assoluta allora, stimolata
senz'altro dall'esempio dato dal neorealismo italiano e soprattutto
dalla lezione di Rossellini, ma anche dall'opera del grande fotografo
newyorkese Weegee, particolarmente attento ai risvolti duri, spietati
della vita reale nella metropoli, all'esistenza quotidiana nei
bassifondi, al crimine spicciolo, ai settori marginali della società,
alla degradazione patita dagli esclusi dal sogno americano, che assume
nelle sue opere le tinte cupe d'un incubo (il titolo del lavoro di
Dassin è mutuato da quello di un suo libro dell'epoca). […]
La città nuda
propone, col suo taglio realistico, una concezione della metropoli
come spazio del disagio quotidiano, del più prosaico, ordinario
degrado criminoso (degno di lasciare un segno solo sulle pagine di
cronaca nera dei giornali: «vi sono otto milioni di vicende nella
città nuda», ripete la voce fuori campo): il volto della città appare
anonimo, indifferente e insieme minaccioso. Nel giudizio muto del
vecchio investigatore e in quello esplicito dei genitori della ragazza
uccisa è la città stessa che risulta colpevole per aver catturato e
divorato la sua vittima dopo averla attratta con le proprie mediocri,
illusorie seduzioni. Perfino il clima descritto (il caldo torrido
dell'estate newyorkese) viene utilizzato come elemento capace di
sostenere e stimolare tensioni: l'aria del mattino è subito afosa,
ognuno cerca ristoro come meglio può (i ventagli, gli idranti, i tuffi
nel fiume dove affiora un cadavere) e il sudore bagna il corpo
dell'assassino, mentre gli interni rivelano gli ambiti ristretti nei
quali si agitano i personaggi, ne definiscono il carattere e il
destino (dalla casa lussuosa della ragazza interrogata allo studio del
medico, dall'abitazione piccolo-borghese del giovane investigatore
alla cucina disordinata del vecchio poliziotto, dal seminterrato
vociante della palestra alla stanza ammobiliata dell'assassino). Ma
l'insieme della metropoli - percorsa a piedi, incessantemente, dai
protagonisti, resa nella sua complessità urbanistica attraverso le
vedute dall'alto, scrutata in ogni angolo nascosto - ha un fascino
titanico, esaltato dallo stile secco e brusco di Dassin, che si
sofferma a rappresentare in modo frammentario, disgregato lo spazio
urbano durante tutte le fasi dell'inchiesta (i pedinamenti, le attese,
le ricerche a lungo senza esito) per poi renderlo di nuovo in modo
sintetico, compatto nel finale.
L'ambiente viene privilegiato rispetto alla presenza dei protagonisti,
che perdono qui il loro alone romantico, le loro caratteristiche
mitiche per diventare quasi degli impiegati della detection: il film
pone l'attenzione infatti, come dicevamo, non sul detective privato ma
sul poliziotto "istituzionale", una figura del tutto diversa da quella
offerta dalla letteratura hard boiled e dalla tradizione del film noir
di quegli anni. Ciò che prevale qui è il metodo dell'indagine
(registrato da Dassin in maniera minuziosa): un lavoro tenace,
continuo, condotto in squadra, basato su un'interminabile serie di
pedinamenti, interrogatori, sull'osservazione minuziosa della realtà,
sulle analisi di laboratorio effettuate dalla scientifica. Il compito
specifico del poliziotto "istituzionale" è quello del coraggio
quotidiano, non gli competono atti gratuiti d'eroismo: i protagonisti
conducono le loro ricerche a piedi, con fatica, attraverso la città,
sono obbligati a malincuore a stare lontano da casa. In particolare,
mentre al vecchio Barry Fitzgerald viene concesso qualche scatto
d'inventiva e di briosa bizzarria, il giovane investigatore è
rappresentato come una figura mediocre, piattamente tranquillizzante,
appannata rispetto alla rappresentazione a tinte forti che viene data
dell'assassino, stretto in una morsa implacabile nella sequenza
dell'inseguimento finale (condotto anche questo a piedi per le strade
della città), splendida per l'efficacia delle riprese e la secchezza
del montaggio. Troviamo qui un doppio movimento: ascensionale (il
bandito si arrampica sulla struttura del ponte) e discendente (il suo
crollo rovinoso al suolo). È lo sguardo dell'assassino ad allargarsi
sulla città dalla quale verrà escluso: l'attenzione è tutta
concentrata su di lui, l'eroe negativo rappresentato in uno sforzo
folle, disperato, e dotato di irruenti tensioni (anche di natura
sensuale, come rivela la sua prestanza fisica), capaci di rimandare al
senso delle forze profonde in agguato nella città del crimine,
all'oscurità insondabile del male, rispetto al quale non c'è rimedio o
soluzione possibile.
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