“Se
non si è belli è inutile vivere”. È con questa frase spiazzante e
indimenticabile pronunciata dal bellissimo principe Howl che si potrebbe
condensare tutto il fascino dell’ultimo film del grande maestro
dell’animazione Hayao Miyazaki
. La Mostra veneziana è stata l’occasione per
vedere in anteprima assoluta l’attesissimo suo ritorno con
Il castello
errante di Howl.
Già nelle intenzioni quest’opera si propone di essere una risposta alla
domanda: “esiste l’animazione per gli anziani?” e non si può quindi aspettarsi
di trovarsi si fronte ad un film per bambini. In fondo anche
La città incanta (Orso d’oro
a Berlino nel 2002 e oscar per migliore film d’animazione) e
La principessa Mononoke non erano certo film rivolti solo ad un pubblico di giovanissimi.
Anzi, raramente come in Miyazaki, attraverso il disegno, la fantasia,
l’estetismo pregnante, ogni sua opera è portavoce di valori e maturità
attraverso cui passano i sentimenti per il mondo d’oggi. Come
La città
incantata, anche ne
Il castello errante di Howl la protagonista è una
ragazzina, la diciottenne Sophie: il suo stato iniziale di quiete sarà
stravolto dall’arrivo di una strega straripante adipe, la Strega della
spazzatura, che la trasformerà in una vecchietta novantenne dolorante e con le
ossa scricchiolanti. Quello che intraprenderà Sophie è un viaggio,
un’avventura per ristabilire l’ordine, e soprattutto per capovolgere l’intero
sistema che la trappola nella sua stanza a fabbricare cappelli. Il mezzo
attraverso cui avverrà questo cambiamento è il cattivo mago Howl, che si ciba
dell’anima delle ragazze. Ciò che rende sempre più interessanti e attraenti i
personaggi di Miyazaki è il continuo accrescimento a cui sono sottoposti, e le
molteplici parti di cui sono composti. Ogni figura è caratterizzata e
composita, e mai banale. Howl è ritenuto cattivo perché tutto il mondo in cui
sono calati i personaggi è preda di un incantesimo decadente, è lo stesso
castello di Howl ne è l’emblema. Un’accozzaglia di tubi e macerie sorretti da
esili gambine, all’interno disordinato, sudicio e polveroso. Servirà la
vitalità della vecchietta per cambiarne l’aspetto, la grinta e l’entusiasmo
che da giovane Sophie non aveva, e solo la sua nuova condizione le permetterà
di conquistare. L’ambientazione sembra una ottocentesca città europea (forse
Londra visto
che l’autore ha tratto la storia dal romanzo dell’inglese Diana Wynne Jones), con le stradine strette e tortuose, le botteghe, gli alti
palazzi coi comignoli. La magia che riesce a creare Miyazaki è fatta prima di
tutto di emozioni, che fluiscono dai suoi disegni così riconoscibili, morbidi,
tondi. Una creatività senza limiti nel creare mostriciattoli deformi che si
liquefanno tra le fessure e spaventano, un gusto per l’esasperazione delle
forme, dei bordi, un distintivo utilizzo della colonna sonora che completa le
immagini, le asseconda, le esalta, le influenza. Il castello errante di Howl è
anche una apologia antimilitarista, un segno contro la distruzione della
guerra: Howl si trasforma in un rapace e tramite la porticina nel retro del
suo castello si cala in realtà parallele e più tragiche che preferisce non
condividere con i suoi compagni. Sì, perché sono numerosissimi gli amici e i
nemici di Howl: lo spiritello del fuoco che alimenta il castello, il bambino
che vive con lui, e, come non ricordare, il magnifico spaventapasseri
saltellante, il primo ad aiutare Sophie, la strega delle lande desolare, la
regina… Impossibile raccontarli tutti. Alla fine giustizia sarà fatta, com’è
giusto che accada. Senza predica. Rimane solo il bello.
|