Una
canzone per Bobby Long
(A Love Song for Bobby Long) |
da La Stampa (Lietta Tornabuoni) |
Ispirato a un romanzo inedito di Ronald Everett Capps, A Love Song for Bobby Long ha regalato al divo John Travolta, che con intelligenza ha accettato il copione di questa piccola produzione indipendente lanciata dal Sundance, il più bel ruolo della sua carriera: quello che lo farà ricordare come un vero attore, oltre che come un divo di Hollywood. Biondo e con i capelli tagliati quasi rasi, Bobby Long è l'ultimo della lunga serie di "misfits" immortalati dalla letteratura e dal cinema Usa: un uomo di successo che un evento traumatico ha trasformato in un perdente, un professore universitario corteggiato e amato dalle studentesse, un marito e un padre che un giorno si è lasciato tutto il suo mondo di sicurezze alle spalle e ha cercato rifugio a New Orleans, rintanandosi nel French Quarter ad autodistruggersi con l'alcol. Nulla di nuovo. A Love Song for Bobby Long è proprio la ballata all'antica che il titolo sembra suggerire, un "genere" che l'esordiente - Shainee Gabel (classe 1969), sceneggiatrice e regista del film - rivisita in punta di penna e con sensibilità attraverso lo sguardo disincantato della giovanissima protagonista femminile, Purslane, impersonata da Scarlett Johansson. A dispetto del nome romantico e antiquato, Pursy è una ragazza di oggi disincantata e incolta che vive in Florida con un fallito qualsiasi, finché la notizia della morte della madre, una cantante troppo bohémien per occuparsi della figlia, non la riporta alla casa natia in quel di New Orleans. Qui la fanciulla ha la sorpresa di trovare la decrepita abitazione occupata da due amici della defunta genitrice che non hanno nessuna intenzione di andarsene: sono Long e il suo ex allievo Lawson (Gabriel Macht), un giovane uomo che fra un sbronza e l'altra tenta da anni di portare a termine una biografia sul suo singolare insegnante. La forzata convivenza a tre, dove l'ostilità iniziale si ribalta in fiducia e affetto, trasforma i rapporti e le dinamiche interne; mentre dal passato emergono sepolte verità che spiegano il puzzle del legame a doppio filo fra Long e Lawson; e l'amore-odio fra Pursy e Long. Il tutto calato nell'atmosfera densa di memorie e leggende di New Orleans, dove l'inverno arriva sempre inaspettato e l'estate umida, calda ed estenuante sembra non morire mai. Del film sono molto ben scritti i dialoghi a schermaglia, intessuti di citazioni da Frost a Whitman che in luogo di sembrare dotte conferiscono ai protagonisti un alone romantico di personaggi destinati a finire nelle pagine di un romanzo, proprio come succede a Bobby Long. Completamente calato nella parte, Travolta la cesella dall'interno, carismatico, sornione, temibile e accattivante. La Johansson di Lost in Translation e La ragazza con l'orecchino di perla gli tiene testa con grinta e naturalezza, confermandosi una delle più interessanti fra le nuove attrici americane. |
da Il Corriere della Sera (Maurizio Porro) |
Nel caldo afoso e decadente di New Orleans tre personaggi guardano al buio in cima alle scale, tanto per citare William Inge, drammaturgo americano che insieme ai sudisti Carson Mc Cullers e Tennessee Williams fa da nume tutelare a Una canzone per Bobby Long. Una ragazzina neo-orfana di una madre quasi sconosciuta si trova in casa, quasi come eredità, una strana coppia di uomini con cui è destinata a convivere in rapporto di odio amore: un ex professore alcolizzato, malato, ciabattone, in disarmo e il suo ex assistente e forse biografo. Loro, colti, hanno bisogno di passato, nostalgia e memoria, citando Dylan Thomas e Bukowski, ma alla ragazza urge un futuro, magari anche con optional sentimentale. Il film, scritto e diretto da Shainee Gabel, ha il gusto del western degli affetti, è finalmente tutto un film di parole e di psicologie dove si incrociano tre belle strade senza uscita. È un corpo a corpo con i propri fantasmi e gli infranti sogni di gloria, oltre che con sentimenti sempre e almeno bivalenti. La forza sta nella sintonia di tre personaggi a tutto tondo e di tre attori accaldati e bravissimi. Se Travolta, bianco di capelli, zoppicante e ingrassato, è quello che osa di più, tentando un’ulteriore resurrezione, Scarlett Johansson , lanciata da Lost in Translation, affina la sua ingenuità in trasferta amorosa, con un sottile match generazionale in cui si inserisce perfetto Gabriel Macht, terzo anello mancante, ma vero ago della bilancia affettivo. |
LUX
- ottobre 2004