La ragazza
con l'orecchino di perla
(Girl With a Pearl Earring) |
da Il Corriere della Sera (Tullio Kezich) |
Nell'interessante studio biografico su Vermeer intitolato «Il maestro di Delft» (Rizzoli) Anthony Bailey scrive che Henry James visitando l'Olanda trovò il paesaggio noiosamente simile ai quadri dei pittori locali. Messo di fronte alle immagini di La ragazza con l'orecchino di perla, oggi il romanziere americano non mancherebbe di rilevare che si rifanno in modo ossessivo ai circa 35 quadri vermeeriani rimasti. Il che spiega le tre nomination all'Oscar ricevute dal film dell'esordiente Peter Webber per l'art director, il costumista e il fotografo. Diligentissimi, per carità, ma stucchevoli al punto da far pensare mentre i personaggi si trasferiscono da un Vermeer all'altro che il pittore di cui si parla fosse soltanto bravo a copiare ciò che vedeva intorno: tanto accanimento illustrativo finisce per togliere ogni senso di magica trasfigurazione quando si arriva alla citazione dei quadri veri. In realtà c'è forse qualcosa di incompatibile fra la pittura di Vermeer, trionfo dell'immobilità, e il cinema in quanto arte fondata sul movimento. Il fortunatissimo romanzo di Tracy Chevalier (due milioni di copie, editore italiano Neri Pozza) è il resoconto fantabiografico di un adulterio mancato, che si sublima nell'arte, fra il maestro e una servetta sedicenne (Scarlett Johansson, già apprezzata in Lost in Translation); ed è anche la storia di una giovane donna che vivendo un'esperienza eccezionale riesce a conquistare la propria indipendenza. |
LUX - febbraio-marzo 2004